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Studente morto in gita a Milano: «Cos’è successo al mio Domenico? Non avrò pace finché non lo saprò»

Il padre dello studente precipitato da una finestra mentre era in gita: "Non abbiamo più sentito nessuno della scuola, solo qualche amico d'infanzia" di Anna Giorgi FOTO - Tragedia in hotel a Bruzzano / La vittima Domenico Maurantonio

L'hotel Da Vinci dove precipitando è morto Domenico Maurantonio

Milano, 25 agosto 2015 - «Non mi rassegnerò mai. Non avrò pace fino a quando non saprò cosa è successo negli ultimi minuti di vita di mio figlio. E la mia vita non avrà più un senso fino ad allora, perché la perdita di un figlio, l’assenza, è un dolore così denso, così forte, che martella senza sosta nella testa e nello stomaco. Domenico mi manca come l’aria». Sono passati più di tre mesi da quel 10 maggio in cui Domenico Maurantonio, 19 anni, in gita a Milano per visitare Expo, in una notte nera e confusa è caduto giù dalla finestra del quinto piano dell’hotel «Da Vinci», a Bruzzano. Caduta. Sta tutto in questa parola lo strazio dei genitori del giovane studente modello, unico figlio, amatissimo. Non si è mai fatto chiarezza su cosa sia successo negli ultimi minuti che hanno preceduto quella tragedia. Resta da accettare, per ora, la morte assurda e sciagurata di un ragazzo promettente che per chissà quale artificio maldestro del destino si è schiantato a terra come una bambola inerte, forse era solo, forse stava male, forse aveva perso l’equilibrio o forse aveva bevuto. Tutto da chiarire, ma più si ragiona, più i pensieri fanno male. Bruno Maurantonio da ieri è tornato in ufficio. Risponde pacato e gentile al telefono. 

Che cosa è cambiato in questi mesi? «Nulla e da nessun punto di vista. Non dal punto di vista del dolore che non passerà mai, perché sopravvivere a un figlio è una condanna feroce. E non dal punto di vista delle indagini. La prima estate senza Domenico è stata un tempo sospeso tra l’attesa e lo strazio. I mesi di ferie sono così, è normale che l’attività di indagine rallenti, ma sappiamo che non siamo stati dimenticati. Noi siamo qui, aspettiamo, fiduciosi, ci hanno fatto delle promesse».

Le promesse vi aiutano ad alleviare o a sopportare il senso di perdita? «Le promesse ci aiutano a sperare, ad aggrapparci a qualcosa, a lavorare per Domenico, come se sapessimo che un’ancora c’è, che una luce c’è, o ci sarà prima o poi ».

Dove avete trascorso questi giorni di agosto? «Io e mia moglie siamo sempre rimasti qui, (a Padova ndr) con i parenti, con la famiglia».  Avete più sentito qualche compagno di classe di Domenico? Qualche insegnante? «No, più nessuno della scuola. Solo qualche amico di nostro figlio, qualcuno che non era in gita, amico di infanzia».

Vi dispiace questo silenzio? «In questo momento abbiamo altri pensieri. Preferisco non parlare dei suoi compagni di classe, diventa un discorso troppo delicato».

C’è qualcosa che vuole dire in ricordo di suo figlio che non le ho chiesto? «Che non si è suicidato. Ci tengo.  Domenico è mio figlio, credetemi. Io lo so. Io sono suo padre, non lo avrebbe mai fatto. Era un ragazzo felice, pieno di entusiasmo. No, non può avere fatto questo». anna.giorgi@ilgiorno.net