Diana, resti di pannolino nello stomaco La Procura chiede il giudizio immediato

L’ultimo "no" del gip ad accertamenti su due tazzine trovate nella cucina di via Parea "inutili e dispersivi" . Il processo inizierà dopo l’incidente probatorio del 30 gennaio e la difesa non potrà più chiedere l’abbreviato

MILANO

di Anna Giorgi

Il 30 gennaio si chiuderà il lungo iter delle indagini con il deposito delle relazioni al termine dell’incidente probatorio chiesto dalla difesa di Alessia Pifferi, la madre della piccola Diana, lasciata morire a 18 mesi, sola, in casa. Sono stati respinti dal gip gli ultimi accertamenti, sempre richiesti dalla difesa, su due tazzine da caffè trovate nella cucina del monolocale di via Parea. Sono state ritenute dal giudice Fabrizio Filice "accertamenti inutili e dispersivi". Per la difesa invece, le tazzine avrebbero potuto provare l’esistenza in casa di più persone nelle ore precedenti alla morte di Diana. La procura, il pm è Francesco De Tommasi, ha fatto sapere, ieri, che subito dopo l’esito dell’incidente probatorio chiederà il giudizio immediato con l’accusa di omicidio pluriaggravato. In questo contesto giudiziario, (il reato è punibile con la pena massima dell’ergastolo), per la difesa, quindi, non sarà più possibile chiedere l’abbreviato e si andrebbe, nel caso, direttamente alla discussione in Corte D’Assise.

Intanto emergono altri dettagli sull’atroce morte della bambina. É l’autopsia, già depositata nella relazione definitiva, a raccontare che la piccola è morta di sete, tecnicamente per una gravissima e prolungata disidratazione, aggravata dalle temperature altissime di luglio. Diana era sola, in casa, nel monolocale di via Parea con le finestre chiuse e senza aria condizionata. Nello stomaco non aveva brandelli di cuscino, ma di pannolino, quello stesso che si era tolta e che è stato trovato poco distante dal cadaverino. Diana a 18 mesi non sapeva camminare perché nessuno glielo aveva insegnato, per gli investigatori dunque la bambina non si sarebbe mai alzata dal lettino da campeggio in cui era stata sistemata, non solo perché appunto non in grado di camminare, ma anche perché era stata drogata con benzodiazepine. Nel soggiorno in cui si trovava la bambina è stato trovato il biberon con residui di latte. Saranno questi a provare quanto benzodiazepine le è stato realmente somministrato, anche se la mamma di Diana continua a ripetere di non avere drogato la sua bambina. Per la Procura, l’esistenza di benzodiazepine, che risulterebbe anche sui capelli di Diana, sarebbe un dato inconfutabile, al punto da anticipare che si tratterebbe di dosi massicce.

La trentasettenne, in carcere da luglio, ha sempre negato – attraverso i suoi avvocati – di aver fatto ingerire quel genere di sostanze, ansiolitici compresi, alla figlia, dicendo di averle dato solo gocce di paracetamolo.

Alessia dalla cella in cui si trova in isolamento, non ha mai cambiato versione sul motivo per cui aveva deciso di lasciare sola, in casa, la bambina.

"Ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui (il fidanzato di Leffe, che non è il padre della bimba, ndr) e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire; è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere il tempo in cui ero con lui, nonostante avessi paura che la bambina potesse stare molto male o morire". Anche l’analisi delle chat del telefono ha confermato che Diana era vissuta come un peso dalla madre, un limite alle sue frequentazioni.

E, sempre dalle chat, è emerso che la piccola avrebbe probabilmente assistito agli incontri a pagamento della madre con altri uomini, l’ulteriore reato che le viene contestato è quindi quello di "corruzione di minore".

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