Diana, anatomia di una fine disumana: i 18 mesi di vita della bimba lasciata morire

Le tappe della storia di Alessia: dal parto alla decisione di lasciare sola la figlia per sette giorni

Alessia Pifferi, la madre fermata per omicidio

Alessia Pifferi, la madre fermata per omicidio

Milano - Resta in carcere, in regime di sorveglianza rafforzata per evitare il tentativo di suicidio, Alessia Pifferi, la mamma di 37 anni che ha lasciato morire di stenti la sua bimba di 18 mesi.

Il carcere lo ha disposto il gip Fabrizio Filice dopo un interrogatorio durato oltre un’ora in cui la donna ha raccontato lucidamente le ultime ore della piccola Diana e riavvolto il nastro di quella sua storia sentimentale con Mario Angelo D’Ambrosio, elettricista di 58 anni, una relazione fatta di montagne russe, bugie, liti e gelosie feroci che lei però voleva a tutti i costi e difendeva anche davanti alle amiche. Voleva un futuro da quell’uomo conosciuto in chat, anche a costo di togliere qualsiasi futuro alla vita di sua figlia. Se la convalida del fermo era scontata, lo sono meno le parole pronunciate dalla donna durante l’interrogatorio e scritte nell’ordinanza di convalida del fermo.

La vita disordinata

Alessia Pifferi aveva un marito, il matrimonio era naufragato circa tre anni fa, non avevano avuto figli, l’"ex" era rimasto ad abitare a poca distanza dall’appartamento di Alessia che viveva in un monolocale all’interno di un vecchio caseggiato nella estrema periferia Est di Milano, al civico 20 di via Carlo Parea, zona popolare di Ponte Lambro. La mamma di Diana non aveva mai lavorato, viveva con il mantenimento dell’ex marito che le passava 200 euro al mese, con qualche soldo che le mandava la mamma Maria, dalla Calabria, dove si era trasferita a vivere con il nuovo compagno, a cui aggiungeva gli assegni familiari che le arrivavano dopo la maternità. Il denaro però le era sufficiente. La Pifferi negli ultimi tempi aveva iniziato a curare moltissimo il suo aspetto e per raggiungere Leffe era solita prenotare una macchina con autista.

L'incontro con il nuovo compagno

Alessia aveva conosciuto Mario Angelo D’Ambrosio due anni fa attraverso la piattaforma Meetic. "Da quel momento - si legge nel verbale delle dichiarazioni rese dalla donna al gip - abbiamo iniziato a frequentarci assiduamente iniziando una relazione fatta di alti e bassi. Fino alla nascita di Diana abbiamo convissuto a Leffe.

La nascita di DIana

"A casa sua – si legge sempre nel verbale – avevo partorito Diana. Non sapevo di essere incinta l’ho scoperto perché ho cominciato ad avere fortissimi dolori alla schiena. Mario non prese bene la nascita di Diana e così cominciammo a litigare. Non andavamo più d’accordo e lui aveva deciso di lasciarmi. La relazione era ricominciata solo dopo diversi mesi. Durante il periodo della rottura, avevo conosciuto altri due uomini, ma erano relazioni senza futuro. Uno di loro era malato di cancro e così l’ho lasciato".

Perché lasciava la piccola sola in casa

"Avvertivo l’esigenza di respirare e di avere spazi tutti miei. Mi sentivo stanca....si sapevo, immaginavo, avevo paura che la bimba potesse morire, dall’altra parte però avevo paura anche della reazione e del giudizio negativo di mia sorella Viviana e anche della reazione del mio compagno Angelo Mario a cui ero appena tornata insieme. Se ora ci ripenso la mia percezione è che quelle due paure avessero pari forza senza che una fosse prevalente sull’altra. E ancora: "A partire da domenica quando cominciavano a passare più giorni del solito ho cominciato ad avere concretamente paura che la bimba potesse morire, ci pensavo spesso, e mi auguravo che non succedesse. Ho pensato che il biberon bastasse. Poi io ci contavo su quella storia con D’Ambrosio e infatti ero concentrata sul fatto che questa storia potesse andare in porto. Per questo ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui, con D’Ambrosio perché dovevo capire se la storia andava in porto.. anche quando pensavo che Diana stesse per morire non ho pensato di tornare a casa, ma solo a stare con lui a Leffe".

La morte di DIana

La Pifferi entra nell’appartamento dopo aver trascorso sette giorni lontano da casa. Quando apre la porta trova Diana sdraiata su un lettino da campeggio senza vestiti e senza pannolino che si era tolta, si ipotizza per il caldo. I soccorritori la troveranno supina, pallida con necrosi alle dita, mani e piedi viola, la bocca viola, gli occhi socchiusi, il viso in parte ricoperto di insetti. La prima relazione medica, in attesa dell’autopsia, racconta di una morte avvenuta per fame, per sete, disidratazione. La donna risponde di omicidio volontario aggravato dai futili motivi.

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