MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Dentro il “carcere“ per mamme: "Lo stigma sociale non finisce mai". La scrittrice: tutelare le donne

Katya Maugeri presenta il suo libro. "Le nuove norme peggiorano la situazione: sì a progetti individuali"

Le pareti colorate. I disegni appesi. L’area giochi in cortile. Ma ci sono cancellate tutt’attorno. È una terra di mezzo, questo ambiente che sa un po’ di casa ma che è un luogo di detenzione. È l’Icam, Istituto a custodia attenuata per madri detenute in via Macedonio Melloni, il primo in Italia (e in tutto sono quattro). Fa parte del polo penitenziario di San Vittore ma è in un edificio a sé, con camere ampie e spazi comuni. Adesso ospita cinque mamme che stanno scontando una pena e i loro sei bimbi, fino a 10 anni. Capita, talvolta, che la città riesca a entrare in questo mondo. E anche se per poco tempo il momento è prezioso. Giovedì, per esempio, una sala si è trasformata in un salotto per Bookcity: in programma, la presentazione del libro “Tutte le cose che ho perso. Storie di donne dietro le sbarre“ di Katya Maugeri, edizioni Villaggio Maori. Intervenuti Francesco Maisto, garante dei detenuti, Elisabetta Palù, vicedirettrice di San Vittore, Diana De Marchi, consigliera comunale e di Città metropolitana delegata alle Pari opportunità, e l’avvocatessa Valentina Alberta. L’autrice, giornalista di Catania, si definisce "affetta da carcerite", perché da anni entra in contatto con le persone all’interno dei penitenziari e prova a raccontarne le storie. In particolare delle donne, "che rappresentano il 4 per cento dell’intera popolazione carceraria e forse è per questo che se ne parla poco, emarginate fra gli emarginati". Nel libro dà voce a donne che vivono dentro le celle. I nomi spariscono, ci sono solo i numeri. "Un mondo invisibile che dobbiamo rendere visibile. Nei capitoli mi soffermo su qualcosa che richiami uno dei sensi. Sull’odore del cibo scadente, sul rumore delle chiavi, sulla luce al neon, fredda. La donna non finisce mai di scontare la pena, perché lo stigma continua per il senso di colpa attribuito dalla società. Soprattutto se a “pagare“ c’è anche il suo bambino". Annuiscono le donne dell’Icam. "Sono qui con il mio piccolo di poco più di due anni. Mi strazia sentirlo chiedere di aprire la porta". Un’altra, che ha con sé una figlioletta, a casa ne ha altri cinque. "La penultima mi ha chiesto al telefono quando uscirò dall’ospedale. Crede che io sia a curarmi". Un’altra vive all’Icam con i suoi due bambini autistici: "Le giornate sono difficili".

Durante il dibattito non si è potuto non toccare il tasto delle novità normative in vista, visto che proprio in quei minuti il Consiglio dei Ministri approvava tre disegni di legge: nel pacchetto, "si modificano le norme relative al rinvio della pena per donne incinte e madri di bambini fino a un anno di età, in modo da rendere tale rinvio facoltativo anziché obbligatorio". Le mamme di bimbi fino a un anno di età o donne incinte potranno quindi non beneficiare più del rinvio della pena. "Io sono contraria – evidenzia Maugeri –: in quel periodo delicato, la donna deve essere tutelata al massimo, e a maggior ragione il suo bambino. Soprattutto, la pena va individualizzata: per ogni donna deve esserci un percorso, un progetto".