MILANO – Mica facile leggere i numeri. Meglio farsi dare una mano. Mettere insieme i ragionamenti. Per provare a raccontare il dato uscito lunedì dall’Osservatorio sui consumi culturali della città, a cura dell’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori (Aie). Indagine trasversale. Fra quei settori su cui da tempo Fiorenzo Grassi ha uno sguardo privilegiato. Da direttore dell’Elfo Puccini, ovviamente. Ma anche e soprattutto da manager culturale milanese, con legami e ruoli che si sviluppano fra ministero e associazioni di categoria.
Grassi, cosa racconta il dato Aie?
“Intanto che Milano sta diventando molto più frequentata, credo anche dal punto di vista internazionale. Accoglie un numero crescente di visitatori che non scelgono la città solo per lo shopping prêt-à-porter ma vanno in cerca di musei, concerti, librerie”.
Quindi un turismo culturale?
“Anche. Ma l’aumento in questo senso è pazzesco, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso. Pensi che solo di tassa di soggiorno mi pare che il Comune abbia incassato quest’anno 800mila euro. Una massa di persone che evidentemente non ha bisogno solo di ristoranti. Poi però ci sono i milanesi che mi pare apprezzino le frequenti proposte eventistiche, come le giornate della Fai o PianoCity, spesso di natura divulgativa”.
Ma è davvero in crescita il settore?
“La spesa sta aumentando, un dato veritiero e in progressione dopo il lockdown. È stato un cammino in salita, poi si è preso l’abbrivio. E a leggere i numeri mi sembra che ci sia un certo allineamento fra settori, a parte la danza di cui però ricordo solo serate molto frequentate”.
Il nostro teatro come sta?
“Mi sembra ci sia complessivamente un buon andamento della vita teatrale, al di là del successo o meno del singolo spettacolo che a volte è difficile da prevedere. Perché ad esempio una proposta più azzardata parrebbe un rischio a livello culturale ma poi assistiamo anche al successo di Milano Musica, capace di riempire La Scala con un repertorio libero e non melodico”.
Salta all’occhio la portata della spesa milanese in confronto al Paese, specie se la si mette in rapporto alla popolazione.
“Sì, è senza dubbio il dato più significativo. Non voglio fare paragoni, ma ho l’impressione che ci sia un piglio diverso rispetto a città che dal punto di vista turistico avrebbero apparentemente più potenzialità”.
Esiste un modello Milano?
“C’è sempre stato. Io mi ricordo tutte le amministrazioni, da Gino Cassinis in avanti. E mi sembra che abbiano di continuo puntato sull’attività culturale. Le mostre a Palazzo Reale non sono nate da sole, così come il sistema dei teatri o i Pomeriggi Musicali. Si è creata così una fiducia da parte dei milanesi ad accogliere le proposte, un’attitudine radicata alla cultura che si è sviluppata anche in situazioni impensabili”.
Cosa le viene in mente?
“Ad esempio il Living Theatre che passò al Durini, un palco paludato da 200 persone. Oppure Lidia Ferro che spese i suoi risparmi d’attrice per il Sant’Erasmo. Una volontà di osare di cui beneficiamo ancora oggi”.
Un humus cittadino?
“Senza dubbio. Di stampo europeo, per nulla sornione, che va ad arricchire i numeri. Un humus che oggi si alimenta di questa tendenza alla cultura diffusa, sicuramente positiva perché altrimenti alcuni quartieri sarebbero dei dormitori. Ma che poggia in maniera solida su un’attività stanziale e continuativa, da proteggere e sostenere”.