Cresce sano e forte il bosco orizzontale sui marciapiedi

Piero

Lotito

Gli incendi boschivi di questa estate sono stati disastrosi. Migliaia di ettari in fumo, strage di animali, terreni esposti a frane e dilavamenti. Chissà, forse per sopperire alla perdita di tanto patrimonio, il Comune di Milano fa di tutto per favorire nelle strade e nelle piazze periferiche la crescita di foltissime bordure di verde. Il ritorno in città dei vacanzieri è insomma incoraggiante: chi già rimpiange i vivi boschi trentini insieme con quelli arsi in tutta Italia ha modo di consolarsi camminando nell’erba rigogliosa che prorompe tra cordolo e asfalto dei marciapiedi o striscia in orizzontale lungo i muri rivaleggiando col bosco verticale di Porta Nuova. Ci sono speranze: manco il tempo di votare, e i milanesi periferici avranno tutti la fortuna di abitare in mezzo al verde. Scherziamo, si capisce. Ma non più di tanto. La periferia dimenticata è un classico "evergreen" (guarda caso) delle nostre amministrazioni, e quella milanese non è un’eccezione. Sappiamo che un giorno quelle erbacce saranno eliminate, ma ignoriamo quando. Abbiamo esperienza, ricordiamo i cumuli di foglie morte avere tutto il tempo di morire ancora meglio, marcire e poi volare nelle strade ed entrare in forma di polvere nelle case, prima che i mezzi comunali arrivassero a sgomberare quel poco che restava. E vediamo pali abbattuti e mai raddrizzati, misteriose cassette con fili elettrici sventrate e così lasciate per mesi o per anni, e chiazze orrende di orina allungarsi da muro a cordoli anche sotto i tavoli delle ristorazioni all’aperto, feci canine rinsecchire al sole, brandelli di vecchi manifesti pubblicitari ed elettorali penzolare tra impalcature e asfalto. "È la periferia, bellezza: e tu non puoi farci niente" direbbero al cinema. Qualcosa invece si può fare: prendere chessò la metropolitana e andare in centro, dove certo non troverai erbe infestanti sui marciapiedi. Ma c’è chi non lascerà mai la sua periferia, lo diceva anche Carlo Cassola: "Amo la periferia più della città. Amo tutte le cose che stanno ai margini". E speriamo che non abbia ragione Gustave Flaubert quando scrive: "Periferie. Tremende nelle rivoluzioni".

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