di Giulia Bonezzi A due anni dalla sua prima alba in compagnia del coronavirus (scoperto a Codogno la sera precedente, 20 febbraio 2020, con un tampone garibaldino rispetto ai protocolli ministeriali e dell’Oms che all’epoca imponevano di testare solo chi avesse contatti con la Cina), la Lombardia ieri contava suppergiù gli stessi ricoverati per Covid che aveva il 28 maggio dell’anno scorso, mentre la coda della terza ondata di marzo abbandonava finalmente gli ospedali. Quel giorno i pazienti Corona erano 1.481 di cui 248 in terapia intensiva; ieri due in più in totale (1.483) ma oltre il 40% in meno in rianimazione (143). Altra differenza: quel venerdì di fine maggio si registravano in tutta la Lombardia 661 nuovi contagiati dal coronavirus con un tasso di positività dell’1,8% su oltre 45 mila tamponi; ieri, invece, i nuovi casi “ribassati“ come ogni lunedì dal rallentamento domenicale dei tamponi erano quasi altrettanti (579) nella sola provincia di Milano, quasi il triplo (1.804) nell’intera Lombardia, con un tasso di positività del 7,5%. Non dissimile dal 7,6% del 21 febbraio 2021, quando però i contagiati erano 2.514, cioè poco più di metà di quelli registrati dal bollettino senza sconti di domenica scorsa. Erano i prodromi della terza ondata, la prima carburata a varianti comunque molto meno contagiose della Omicron che dal Natale scorso ha polverizzato ogni precedente pandemico, sul fronte della diffusione del virus. Non però sul fronte degli ospedali, scudati dalla campagna di vaccinazione che proprio a fine maggio 2021 entrava nella sua fase massiva: la quarta ondata, nonostante il moltiplicatore Omicron, non è arrivata a riempire le terapie intensive oltre quel 20% dei letti che avrebbe fatto scattare la zona arancione, e al suo picco ospedaliero, un mese fa, non toccava i numeri di un anno fa, del 21 febbraio 2021 coi suoi 3.741 ...
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