"Sei sempre con il telefono in mano", "Guardati attorno, parla con noi", le frasi che si sentono migliaia di volte in famiglia, rivolte a bambini e ragazzi. Ma gli adulti danno il buon esempio? E se sono loro a distrarsi con lo smartphone togliendo tempo ai figli, quali ripercussioni ci sono sui più piccoli? Su questo ha indagato un gruppo di ricercatori di Psicologia e Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca. Il risultato dello studio, dal titolo “Mom, dad, look at me: The development of the Parental Phubbing Scale”, appena pubblicato su Journal of Social and personal relationships, è che prestare troppa attenzione al proprio cellulare in presenza dei figli peggiora le relazioni e può incidere sul benessere psicologico dei ragazzi, che si sentirebbero "ignorati ed esclusi": lo si evince dalle informazioni raccolte su un campione di oltre 3mila adolescenti tra i 15 e i 16 anni delle province di Milano e Monza Brianza.
Alla base dello studio c’è il fenomeno del "phubbing" (termine composto da "phone", telefono cellulare, e "snubbing", snobbare) che indica il comportamento delle persone che anziché interagire con l’interlocutore guardano il telefono. Un fenomeno che finora è stato principalmente studiato all’interno delle relazioni lavorative e di coppia. Ora, i risultati dello studio sul phubbing in ambito genitoriale hanno confermato l’ipotesi di partenza dei ricercatori: "Gli adolescenti che si sentivano maggiormente vittime di phubbing da parte dei loro genitori – si legge in una nota dell’università – si percepivano anche più distanti da essi, socialmente disconnessi, ignorati ed esclusi. I ricercatori hanno quindi potuto legare lo studio di un fenomeno nuovo alla lunga tradizione di ricerca sulle esperienze di esclusione sociale che nei casi più gravi possono portare allo sviluppo di sintomi depressivi e al suicidio".
Luca Pancani, psicologo sociale, evidenzia che "il fenomeno si caratterizza a tutti gli effetti come forma di esclusione sociale, in particolare di ostracismo, ossia essere ignorati, diventare invisibili e sentirsi non esistenti in un dato contesto. Ciò assume un’importanza maggiore nella relazione genitori-figli".
Non è escluso che possa nascere una sorta di "galateo" sull’uso dello smartphone: "La ricerca – aggiunge Tiziano Gerosa, sociologo – può incidere molto sulla costruzione di norme sociali che pongano dei limiti al phubbing anziché accettarlo indiscriminatamente". Ora i ricercatori andranno avanti per indagare la "circolarità del fenomeno": non sono, cioè, solo i figli a subire questo trattamento dai genitori ma anche mamme e papà a riceverlo dai figli, alimentando un circolo vizioso. Chissà se in famiglia si riuscirà a tenere più lontani i telefoni e a guardarsi di più negli occhi.
Marianna Vazzana