ANDREA GIANNI
Cronaca

Coniugi uccisi in Sicilia, la figlia: "Noi, da tre anni senza giustizia"

Marito e moglie massacrati in casa a Palagonia, durante una rapina. Una piazza intitolata alla coppia "per non dimenticare"

I coniugi Vincenzo Solano e Mercedes Ibanez

Milano, 30 agosto 2018 - Tre anni di rabbia e dolore, di viaggi dalla Lombardia alla Sicilia per assistere alle udienze di un processo di primo grado che si sta trascinando da più di 27 mesi. Rosita Solano e la sorella Manuela oggi scopriranno una targa di marmo nella piazzetta di Palagonia che verrà intitolata ai genitori, i coniugi Vincenzo Solano e Mercedes Ibanez Pomerol, massacrati il 30 agosto 2015 nella loro villetta nel paese del Catanese. Hanno scelto una frase di Anna Frank: “Poteva capitare a chiunque! Quello che è accaduto non può essere cancellato ma si può impedire che accada di nuovo”. «Vogliamo lasciare un segno per non dimenticare, perché non ci si rende conto di cosa significa perdere i genitori in questo modo», spiega Rosita, insegnante, che da tempo vive e lavora fra Milano e Rho. Parteciperanno all’intitolazione autorità, politici e l’Unione Nazionale Vittime, associazione che si occupa di assistere vittime di reati violenti.

Vincenzo Solano e Mercedes Ibanez, 68 e 70 anni, furono aggrediti nella loro casa in piena notte. Dopo aver ucciso l’uomo colpendolo alla testa, il giovane ivoriano Mamadou Kamara avrebbe anche violentato Mercedes, gettandola dal balcone quando era già morta o in fin di vita. Una rapina finita nel sangue compiuta, secondo l’accusa, dal 20enne all’epoca ospite del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, inchiodato da una serie di prove raccolte dagli investigatori della polizia di Stato. Riprese delle telecamere, tracce trovate sul luogo del delitto, i pantaloni chiazzati di sangue in un borsone, il possesso di refurtiva. Quando fu fermato all’ingresso del Cara di Mineo, tra l’altro, indossava ciabatte e abiti di Vincenzo Solano, che gli stavano larghi. Ma lui, in carcere, continua a proclamarsi innocente. «In tre anni non è cambiato nulla - prosegue Rosita - siamo stati abbandonati dallo Stato. A Palagonia c’erano già stati diversi segnali che nessuno ha ascoltato, e i nostri genitori hanno pagato con la vita. Continuiamo a ripetere che quel tipo di accoglienza non funziona».

Il processo di primo grado a carico dell’ivoriano si è aperto il 23 maggio 2016 davanti alla Corte d’Assise di Catania. Processo che, tra rinvii di udienze e lunghe audizioni di testimoni, si è trascinato per più di due anni. Il verdetto dei giudici probabilmente arriverà nei primi mesi del 2019. Per la sentenza definitiva bisognerà attendere altri anni, fra appello e Cassazione. La villetta a Palagonia resta sotto sequestro, probabilmente in attesa della fine del processo. «Confidiamo nella giustizia - sottolinea Rosita Solano - vogliamo che quella persona non esca più dal carcere, che paghi per quello che ha fatto anche se nulla riporterà indietro i nostri genitori. Il ministero dell’Interno in quel periodo avrebbe dovuto vigilare sugli ospiti del Cara di Mineo, le autorità dell’epoca sono responsabili per quello che è successo. Nessuno si è fatto sentire, nessuno ci ha chiesto scusa. Siamo rimasti soli».

Una tragedia indelebile per Rosita e Manuela Solano, che oggi ricorderanno i genitori a Palagonia con l’intitolazione della piazza, tre anni dopo il delitto. «La nostra vita è stata sconvolta - conclude l’insegnante - ho deciso di non chiudermi nel dolore ma di portare avanti una battaglia per la tutela delle vittime di reati violenti, per fare in modo che l’orrore non si ripeta».