ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Le mille vite di Onofrio: manager, clochard e ora guida turistica

Ha studiato Lettere classiche da dirigente è diventato metalmeccanico e poi senzatetto: "Ho ricominciato a essere felice grazie a Erasmo da Rotterdam..."

Onofrio Mastromarino

Milano, 15 settembre 2017 -  Onofrio Mastromarino è il "signore" della casa dell’accoglienza “Enzo Jannacci” che sabato 7 ottobre aprirà eccezionalmente le sue porte al pubblico, dalle 15 alle 19. A dispetto della trama indecifrabile del destino che ha condotto quest’uomo di 65 anni, con un passato da dirigente, a rincasare ogni sera da un anno all’ex dormitorio di viale Ortles, Mastromarino non ha mai perso gentilezza, cultura – legge opere in greco e in latino – e distinzione. Sono le carte con cui è riuscito a vincere la sfortuna, a trovare un senso alla sua esistenza: «Mi sento un uomo sereno e maturo ora» dice.

Quando si è trasferito a Milano per la prima volta?

«Frequentavo già da 3 anni Lettere Classiche in Cattolica quando, nel 1972, ottenni il primo lavoro: commesso alla Ricordi di via Berchet. Adoravo la metropoli: per me, originario di Varese e abituato alle atmosfere «impagliate» di provincia, era come ritrovare la vita. Poco tempo dopo un cliente mi offrì un posto nella multinazionale di materie plastiche in cui lavorava, la Rino di San Donato Milanese. Divenni dirigente delle risorse umane fino al 1994, quando l’azienda ha chiuso».

Cosa è successo poi?

«Ho lavorato in una cementeria di Merone, vicino Como, come metalmeccanico. Col tempo sono stato promosso a capocantiere all’estero. In seguito sono passato in un’altra azienda metalmeccanica a Cavaria, Varese, come responsabile. E lì sono rimasto fino a quando non mi sono sentito messo da parte. Le cose sono cominciate ad andare male anche a casa. Sono caduto in depressione e ho deciso di tagliare i ponti con tutti, dal lavoro alla famiglia. Sono tornato a Milano nel 2015, per l’Expo. Ho trovato lavoro al padiglione nel Nepal e dal settembre del 2016 sono arrivato in viale Ortles».

Come ha fatto a sopravvivere alle difficoltà della nuova condizione?

«Mi hanno aiutato i libri, ne leggo almeno 5 al mese. L’autore più importante è stato Erasmo da Rotterdam».

Quello dell’Elogio della follia?

«L’opera cruciale, per me, è il De libero arbitrio. Dove Erasmo difende in maniera appassionata la libertà del volere umano contro Lutero che la negava con forza. Mi ha aiutato a capire la mia situazione».

In che senso?

«Ho compreso che per tanti anni avevo inseguito una banderuola che non mi apparteneva, quella del benessere materiale, che mi aveva condotto ad essere infelice, tralasciando la qualità della vita. Se sono riuscito a tornare ad essere sereno è perché ho accettato gli eventi accaduti come un percorso decisivo per la mia maturazione umana».

Milano ha avuto un ruolo in questo processo di pacificazione con sé?

«Sì perché è un laboratorio pieno di energia, un luogo dove non si può vivere di nostalgia»

Adesso come trascorre le sue giornate?

«Lavoro alla lavanderia dell’opera Cardinal Ferrari al mattino. Con l’associazione dei Gatti Spiazzati, propongo dei tour a piedi nella Milano sconosciuta. Sabato e domenica sono volontario del Touring nella cripta di San Giovanni in Conca a Missori».

Ha un sogno nel cassetto?

«Certo, diventare scrittore. Negli anni ’80 avevo pubblicato una raccolta di poesie: raccolgo materiale sugli arimanni, gli uomini liberi della società longobarda, e mi piacerebbe ricavarne un libro, e vorrei far conoscere i racconti che scrivo da tempo. Ora mi sento pronto per un nuovo tempo nella mia esistenza».