
L’aggressione andata in scena la sera del 2 maggio sotto i portici di via Rosales
Cinque colpi in poco più di cinque mesi. Da solo o con complici più giovani di lui per coprirgli la fuga o per intimidire la vittima di turno. A valle di un’indagine fondata soprattutto sull’analisi delle telecamere e puntellata dai costanti controlli del territorio in zona Centrale, gli investigatori del commissariato Garibaldi Venezia, coordinati dal pm Francesca Crupi e guidati dal dirigente Angelo De Simone, hanno arrestato il ventiquattrenne marocchino El Mehdi Arrahim, accusato di quattro raid in metropolitana e di un’aggressione in zona corso Como.
Ore 22.50 dello scorso primo gennaio: un sessantatreenne ivoriano, professione guardia giurata, sta raggiungendo con le scali mobili il mezzanino della fermata Turati della M3. Un giovane gli chiede: "Che ore sono?". Appena l’uomo tira fuori il cellulare per controllare, l’altro glielo sfila dalle mani e scappa. Subito dopo, entra in scena Arrahim, che strattona il vigilante centrafricano per strappargli lo zaino: l’uomo frana a terra, procurandosi un trauma facciale con prognosi di 30 giorni.
Il volto del secondo nordafricano, inserito nel “cervellone” del sistema Sari per il riconoscimento facciale, rimanda una corrispondenza del 47,9% con la faccia schedata del ventiquattrenne. Che il giorno dopo, nell’ipotesi della Procura che ha superato il vaglio del gip, torna in azione nello stesso posto. Alle 18.40 finisce nel mirino un’impiegata di 39 anni che in quel momento sta parlando al telefono col marito: Arrahim le prende l’iPhone 14, le stampa una manata sul volto e le ordina "Vai vai", imponendole di allontanarsi senza chiedere aiuto. Anche in questo caso, i filmati del circuito di videosorveglianza di Atm si riveleranno decisivi per fissare un viso, poi compatibile all’81,5% con quello del marocchino.
E arriviamo al 22 febbraio: il ventiquattrenne cambia linea e stazione e si sposta a Caiazzo, sulla M2. Alle 16.50 percorre la banchina col treno fermo in attesa di ripartire: all’improvviso, si avvicina a una carrozza, infila il braccio in una delle porte ancora aperte e si impossessa del telefono Huawei di un’impiegata cinquantenne; lei non ha neppure il tempo di reagire, può solo attendere la fermata successiva per scendere e sporgere denuncia. A tradire Arrahim, oltre al solito software, è la felpa nera con la scritta "Stwd": la indossa pure alle 4 della notte successiva, quando gli agenti della Volante Vitruvio lo portano in Questura per identificarlo.
Alle 20.50 del 2 maggio, il nordafricano colpisce sotto i portici di via Rosales: incrocia una ventottenne professione architetto e le strappa tre collane d’oro, per poi scappare in direzione via De Cristoforis. Al raid assistono altri due nordafricani, che la deridono dicendole "Amore, ma cosa è successo?": diciotto ore prima, erano insieme ad Arrahim in piazza Duca d’Aosta.
Alle 8 dell’11 maggio, l’ultimo blitz della serie messa in fila nell’indagine dei poliziotti di via Schiaparelli. Una studentessa ventenne viene rapinata di un telefono Honor da 700 euro mentre sta obliterando il biglietto ai tornelli di Caiazzo. In questo caso, il ventiquattrenne recita il ruolo del complice: blocca sul nascere l’eventuale inseguimento della vittima e le intima "Stai ferma" puntandole un coltello. Il marocchino e l’autore materiale vengono arrestati poco lontano, in via Benedetto Marcello. Il giudice della direttissima convalida il provvedimento e dispone il divieto di dimora a Milano. Arrahim, però, non se ne va a Pavia, dove ha dichiarato di avere un domicilio, ma torna nella stessa strada in cui era finito in manette il giorno prima: gli agenti lo trovano con un connazionale, denunciato perché trovato in possesso di un martelletto frangivetro e di una bomboletta di spray al peperoncino.
Nicola Palma