
L'energy drink contraffatto dal chimico messicano arrestato in via Broletto
MILANO – Quando è stato arrestato lo scorso 19 marzo in una struttura ricettiva in via Broletto, a pochi passi dal Duomo di Milano, ha motivato il suo ingresso in Italia con una vacanza anche per partecipare, in quanto laureato in Chimica dei cosmetici, alla fiera del settore che si tiene ogni anno a Bologna. Su Juan Romero, nato 77 anni fa a Città del Messico, pendeva un mandato di cattura emesso nel 2015 dagli Usa per aver partecipato a una maxi frode realizzata attraverso la vendita a grossisti in tutti gli Stati Uniti di "milioni di bottiglie" di una bevanda energetica destinata ad atleti e runner. Romero, secondo le accuse mosse dalla Corte degli Stati Uniti, distretto della California, era il "cuoco", con il compito di creare in una struttura "antigienica e non autorizzata" in Messico il prodotto che poi veniva confezionato, introdotto illegalmente negli Usa e messo in commercio con il marchio contraffatto 5-Hour Energy, un “energy shot” sul mercato dal 2004 e molto diffuso tra gli sportivi americani, con testimonial come il pilota Pietro Fittipaldi.
Il caso è finito nei giorni scorsi davanti alla Corte d’Appello di Milano, che ha dato il via libera all’estradizione del chimico negli Stati Uniti, nonostante la richiesta della Procura generale, sulla stessa linea della difesa, di respingere l’istanza "sostenendo la prescrizione dei reati", commessi tra il 2011 e il 2012. I giudici della quinta sezione penale, competente per i casi di estradizione, nella sentenza firmata dalla presidente Ivana Caputo hanno evidenziato tra gli altri aspetti che "l’età di 77 anni non è talmente avanzata da costituire una fonte certa di rischio grave in caso di estradizione", che secondo il codice statunitense i termini di prescrizione sono congelati dal 2015 e l’uomo non rischia "atti persecutori o discriminatori", e neanche di essere sottoposto "a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti".
Juan Romero, difeso dagli avvocati Miceli e Schettino dello studio legale International Lawyers Associates, fondato dall’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali internazionali, ha giocato però l’ultima carta, con un ricorso in Cassazione. "È paradossale estradare un 77enne per un reato che in Italia sarebbe prescritto – spiega Tirelli –. Confidiamo nella Cassazione e nella sensibilità del ministro Nordio, cui ci appelliamo affinché non firmi l’estradizione. Romero è un malato oncologico. Spero che la giustizia italiana non debba pagare prezzi salati sull’altare del caso Chico Forti".
Dagli atti del procedimento emerge che l’arresto di Romero è scattato all’alba del 19 marzo in via Broletto grazie "all’alert alloggiati", sistema che incrocia i dati forniti dai clienti delle strutture ricettive al momento della registrazione con quelli delle persone ricercate, nel suo caso per le accuse di "cospirazione al traffico di merci contraffatte", violazioni del diritto d’autore e "cospirazione per introdurre alimenti di marca errata nel commercio interstatale": reati che negli Usa sono puniti severamente, con pene fino a 10 anni di reclusione nel primo caso e fino a 5 anni negli altri due. I carabinieri lo hanno portato nel carcere di San Vittore, e il giorno successivo è stato rimesso in libertà con obbligo di dimora a Milano e divieto di espatrio.
Alle radici della frode un accordo commerciale tra la società messicana Baja Exporting e Living Essentials, vero produttore delle bevande 5-Hour Energy, per esportare in Messico il drink. L’operazione non andò a buon fine e a quel punto, come emerge dagli atti, gli imprenditori messicani hanno avuto l’idea "redditizia" di produrre loro la bevanda, imitandone la ricetta, e mettendola in commercio illegalmente negli Usa. Qui entra in gioco Romero, con le sue competenze nella chimica. Il 77enne, oltre a realizzare il prodotto "in vasche di plastica" nella sua azienda, avrebbe ordinato "più di sette milioni di etichette contraffatte e centinaia di migliaia di espositori contraffatti", bottiglie vuote e tappi con il logo dei “Running man” da fornitori nella zona industriale di Guadalajara.
Le bottiglie che finivano sugli scaffali americani erano identiche a quelle originali. Solo che codici di lotto e date di scadenza erano false, il contenuto era un liquido "non meglio precisato": i messicani le definivano, tra loro, come "miscela di succhi" e "spezie".