
Un talento impertinente. La definizione de Le Figaro scivola sulle corde vellutate della voce di Camille Bertault enfatizzandone le duttili imprevedibilità che attendono questa sera il pubblico del Blue Note. Riaperta ieri dal sax muscoloso di Scott Hamilton, la sala di via Borsieri accoglie stasera i raffinati intimismi in bilico tra swing e chanson della cantante parigina, capace di passare con naturalezza dalle Variazioni Goldberg a Giant Steps, da Bach a Coltrane, da João Gilberto a Serge Gainsbourg, con quel filo di sensualità che ne fa l’icona spregiudicata del jazz d’oltralpe. Accompagnata dal pianista David Helbock, Camille sfoglierà pagine del loro “Playground”, album con cui la coppia sostanzia un sodalizio iniziato l’estate scorsa sul palco del festival austriaco INNtöne Jazz. Disco variegato “Playground”, in cui convergono gli interessi artistici ad ampio spettro dei due autori spaziando dal Brasile di Egberto Gismondi (“Frevo”) a Björk (“New world”), da Thelonious Monk (“Ask me now”) all’Alexander Scriabin dello Studio op. 2 n. 1 in do diesis minore. Entrambi hanno una formazione classica, la stessa Camille, che ha studiato pianoforte al conservatorio fino all’età di 20 anni prima di scoprire le fascinazioni della voce. “Sono una cantante, ma amo immaginarmi pure storyteller” dice lei, classe ’86. A.S.