
Una scultura di sabbia invita a non partecipare al gioco della ’Balena Blu’
Si è chiuso con una condanna a un solo anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una ragazza, ora di circa 25 anni, è finita imputata con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per «curatore» nell‘ambito della cosiddetta «Blue Whale Challenge» e per aver costretto, tramite i ‘social‘, una minorenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come primo step delle 50 prove di coraggio. A deciderlo è stato oggi il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone.
Come ricostruito dal pm Cristian Barilli nel capo di imputazione, a maggio del 2017 la allora 23enne, anche grazie alla complicità di un diciassettenne russo, si sarebbe spacciata come «curatore» della cosiddetta «Blue Whale Challenge» e, dopo aver adescato una dodicenne palermitana attraverso Facebook e Instagram, l’avrebbe obbligata a «plurimi atti di autolesionismo». L’avrebbe minacciata con frasi come: «Se sei pronta a diventare una balena devi inciderti ‘yes’ sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti», oppure «ora ti punisco, lo devi fare subito quello che ti dico, non deve passare così tanto tempo».
E ancora: «Prendi il rasoio, ora ti fai un taglio sotto il piede sinistro e sotto il piede destro, un taglio sul palmo della mano destra e un altro sul palmo della mano sinistra e mi invii le foto». Tra le vittime della 23enne «plurimi soggetti non compiutamente identificati», scrive il pm «che sarebbero stati costretti a praticare atti di autolesionismo con minacce di morte qualora avessero interrotto la partecipazione al Blue Whale Challenge». La presunta «curatrice» milanese, molto abile a navigare in questa parte del web, avrebbe anche avvisato la ragazzina di conoscere il suo «indirizzo IP di connessione», cioè il luogo da cui si collegava e quindi di poterla «raggiungere e uccidere in qualunque momento».
Intanto anche il Parlamento si muove in materia. Cinque articoli per rendere piu’ severe le norme che puniscono l’istigazione alla violenza, all‘autolesionismo e al suicidio anche attraverso i social e chi li gestisce, che non possono essere esentati dalle loro responsabilita’. E’ il disegno di legge, soprattutto a tutela dei piu’ giovani, che, in sede redigente, la commissione Giustizia del Senato e’ chiamata a discutere. Lo spunto della proposta, a prima firma Simone Pillon, e’ il dramma dell’inconcepibile morte di alcuni giovanissimi come “la bambina palermitana di 10 anni” deceduta durante un’assurda sfida sul social Tik Tok o quello che e’ successo a Bari dove un bambino e’ “morto suicida mediante impiccagione per una situazione simile.
Fatti analoghi si erano verificati anche proprio con i giochi denominati ‘blue whale’ ovvero ‘momo’. Per tutto questo e’ del tutto evidente la necessita’ di “dare un chiaro segnale che vada ad arginare la diffusione di giochi, sfide o altre forme di istigazione diretta o indiretta dei minori a condotte violente, autolesioniste o peggio di suicidio”, si legge nella presentazione del provvedimento.