
Daniele Belardinelli, ucciso a 35 anni
MILANO – Nelle carte depositate dalla Dda che contengono le dichiarazioni rese da Andrea Beretta, il 49enne capo ultrà dell’Inter, arrestato il 4 settembre per avere ucciso con 49 coltellate il rampollo di ’ndrangheta Antonio Bellocco, e diventato collaboratore di giustizia, c’è anche la descrizione della morte dell’ultras Daniele Belardinelli. Dedè, lo chiamavano nell’ambiente, morirà nel 2019 investito in via Novara dove, prima della partita con il Napoli, alcuni ultras nerazzurri (insieme a quelli del Varese e del Nizza, gemellati con la Curva Nord interista) avevano attaccato alcuni pulmini di tifosi partenopei.
Belardinelli, 35 anni, faceva parte del gruppo ultrà del Varese “Blood and Honour”, aveva ricevuto in passato due Daspo di cinque anni. Il primo nel 2007 in occasione di Varese-Lumezzane, il secondo nel 2012 per gli scontri prima dell’amichevole tra Como e Inter. Daniele Belardinelli era un sorvegliato speciale per reati connessi a manifestazioni sportive. Il racconto di quella notte tragica nelle parole di Beretta.
“Era il 26 dicembre del 2019 e io quel giorno stavo andando a Pietralcina con la mia compagna. Tutte le azioni di tifoseria dell’Inter mi hanno sempre visto protagonista, quindi al comando dell’azione in cui morirà Dedè ci sono io. Cambio idea, parcheggio e vado a comandare l’azione. Però quella morte lì, quella storia lì la morte di Dedè mi ha proprio colpito, ci ripenso sempre e mi faccio delle pare, cioè capito?”.
Beretta continua il racconto davanti al pm Paolo Storari: “Penso che se non avessi fatto l’azione, se fossi andato a Pietralcina magari lui sarebbe vivo e cose così, se non mi fermavo che mi cadeva la torcia lui sarebbe vivo magari. Un po’ come la storia di Antonio (Bellocco, che lui ha ucciso) se non gli cadeva il caricatore, vai a sapere come finiva. Comunque noi volevamo essere i più temuti e i più balsonati.... io nello scontro tenevo la torcia, ad un certo punto mi cade e vado per raccoglierla con la coda dell’occhio vedo delle gambe andare via”.
Entra nei dettagli: “È stato un attimo perché da un furgone è sceso un rivale l’ho colpito e lui è svenuto. Mi giro e vedo uno a terra che urla come un pazzo, proprio come un animale scannato, allora butto la torcia e il bastone, corro là gli prendo la testa e vedo che aveva il sangue che gli usciva dalle orecchie, tanto sangue. Vedo che aveva il bacino maciullato perché una macchina gli aveva proprio slittato sopra, allora cerco di fermare la situazione, intanto che volava di tutto, bombe carta, martelli bastoni”.
E ancora: “Poi sono tornato là da Dedè che era massacrato e l’ho tirato sul marciapiede, intanto arrivava una Polo, io ho abbassato i sedili e l’ho caricato sopra. Poi torno alla macchina parcheggiata dove la mia compagna mi stava aspettando e quando mi vede sporco di sangue si spaventa. Vado alla mia palestra, mi cambio, vado a firmare (in caserma) e poi io e lei partiamo per Pietralcina, ma avevo davanti l’immagine di Dedè tutto sfracellato che urlava coma un animale. Di notte sento squillare il telefono e mi dicono che Dedè è morto. Io vado a pranzo in una trattoria e vedo i telegiornali da lì capisco che avevano già arrestato tutti, io invece alla fine sono passato indenne”. Belardinelli arriverà al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo accompagnato da tifosi che tentando di non essere identificati lo lasceranno a terra per andarsene subito.