Milano, 19 settembre 2024 - “Dopo quello che è successo mi stanno scrivendo tantissime donne, raccontando una storia più dolorosa dell’altra. L’8 marzo, il 25 novembre, la panchine rosse mi sembrano tutte iniziative di facciata, quando nel 2024 ci troviamo ancora a leggere sentenze di questo genere”.
Barbara D’Astolto, ex assistente di volo, è pronta a “portare il caso davanti alla Cassazione e se necessario alla Corte europea per i diritti dell’uomo”, dopo l’assoluzione del sindacalista che aveva denunciato dopo un colloquio, nel 2018, per una vertenza all’aeroporto di Malpensa. Quei comportamenti, che i pm contestavano come abusi sessuali, secondo la Corte d’Appello di Milano, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, non sono stati tali “da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta”. Una condotta che, secondo i giudici, “non ha vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale”, ossia “20-30 secondi”, che “le avrebbe consentito anche di potersi dileguare”.
Ha letto le motivazioni della sentenza?
“Le ho lette attentamente e ne ho parlato con il mio legale, l’avvocato Teresa Manente. Pensavo che con il primo grado si fosse toccato il fondo, invece in Appello sono andati oltre. Hanno aggiunto il fatto che la corporatura del sindacalista non era tale da incutere timore, come se la pericolosità di una persona si possa giudicare dalla stazza. Sono considerazioni che fanno cadere le braccia. Noi non ci fermiamo e presenteremo ricorso in tutte le sedi possibili. Intanto mi stanno scrivendo tantissime donne, accomunate dal fatto che le loro denunce anche riguardo a casi molto più gravi del mio sono state trattate con leggerezza. Io non sono una mosca bianca, siamo in tante ad essere vittime di un sistema che colpevolizza le vittime e assolve i carnefici”.
Quali casi l’hanno colpita di più?
“Mi ha scritto una donna che ha subito violenze nello studio di un dentista, un’altra è stata vittima di un professore che le dava ripetizioni di latino: a distanza di tanti anni non ha mai raccontato nulla ai suoi genitori. Una ragazza mi ha scritto questa frase: “Quando è successo a me avevo 5 anni, e non sapevo neanche contare fino a 20“”.
Quali ripercussioni ha avuto sulla sua vita privata la scelta di denunciare?
“In primo luogo ho perso il lavoro, mi sono dovuta licenziare, sono stata trattata come una mitomane. Per fortuna avevo un piano B e adesso, grazie al mio titolo di studio, insegno alla scuola primaria. Alle mie due figlie, la più grande ha 12 anni, non ho mai raccontato quello che è successo. Sono consapevole che, prima o poi, dovrò affrontare l’argomento”.
È preoccupata per il loro futuro?
“Le aggressioni sessuali avvengono in ambiti talmente disparati che non saprei come fare per metterle in guardia: io mi trovavo in un ambiente protetto, nella saletta sindacale, e mi sono trovata con le mani addosso. Per evitare i rischi bisognerebbe non uscire più di casa. Posso solo dire loro di non tenersi dentro le cose, di raccontare tutto a mamma e papà”.
Tornando indietro, alla luce delle due sentenze, denuncerebbe di nuovo?
“È una domanda a cui non so rispondere, e non saprei neanche quale consiglio dare a una donna. Nella posizione in cui mi trovo non posso certo dire che chi denuncia trova la giustizia dalla sua parte. Purtroppo in Italia manca la voglia di sganciarsi da una certa mentalità, e in Europa siamo sempre fanalini di coda. Quello che resta, dopo questa esperienza, è solo tanta amarezza”.