
Il tribunale di Milano
Milano, 7 maggio 2016 - Non vede più la sua bambina da quella notte di luglio. Oggi “Noor” (nome di fantasia) ha solo un anno e sette mesi, ma già metà della sua vita l’ha trascorsa lontano dalla mamma. È ormai dell’estate scorsa che Samira M., 41enne di origini marocchine da anni trapiantata a Milano, ha ingaggiato una battaglia a colpi di carta bollata per riavere o per lo meno rivedere la sua piccola. Finora, però, tutto è stato inutile. La bambina si trova da qualche parte in Lettonia, paese d’origine del padre Martins T., ricco imprenditore 37enne. Lui e Samira si sposarono due anni fa in Lettonia, nell’ottobre nacque Noor a Milano, dove la coppia viveva in corso Indipendenza. Ma i rapporti tra genitori cominciarono subito a guastarsi fino alle richieste di separazione presentate da entrambi ma poi lasciate cadere.
Intanto però la piccola viveva in città quasi sempre con la mamma, mentre papà faceva la spola con la Lettonia per i suoi ricchi affari nel campo della security. Lo scorso luglio la decisione della famiglia di partire per una breve vacanza in Lettonia dai nonni. Lì una notte però Samira si sveglia e si accorge che la piccola Noor non è più nel suo lettino. Il papà se l’è portata via e qualcuno le ha sottratto il passaporto. Comincia da quella sera la battaglia della donna per rivedere la piccola. Una denuncia per sottrazione di minore discussa davanti al tribunale di Riga (dove però il marito ha importanti conoscenze anche in ambito ministeriale che lo tengono al riparo dai guai), poi una denuncia in procura in Italia per sottrazione internazionale di minori e il procedimento in sede civile avviato davanti al tribunale ordinario e approdato, dopo due rimpalli burocratici, davanti a quello dei minori. Risultati: zero. Nel primo grado davanti ai giudici lettoni iniziato dall’Autorità centrale italiana, il collegio prese atto dell’avvenuta sottrazione della bimba da parte del padre, ma non ordinò il rientro in Italia sostenendo che in quel caso l’equilibrio psicofisico di Noor sarebbe stato in pericolo a causa dei comportamenti della madre (ma nessuna relazione dei servizi sociali italiani aveva mai concluso in questo senso). In appello, invece, la motivazione escogitata dalle toghe lettoni fu ancora più insidiosa: nessun rientro doveva essere ordinato, perché - stabilirono - non c’era mai stata sottrazione della piccola. In pratica, la bimba era con papà solo perché la sua residenza abituale era proprio in Lettonia, al contrario di quanto provato dalla difesa della madre allegando non solo i certificati di nascita e residenza italiana ma anche la varia documentazione sanitaria che legava inesorabilmente Noor a Milano.
A quel punto Samira, assistita dai suoi avvocati Lucia Gallè e Luigi Diani, tentava di ribaltare la situazione davanti ai giudici italiani. E se la sua denuncia contro il marito per maltrattamenti e sottrazione di minore arrivava alla chiusura indagini con richiesta di rinvio a giudizio per Martins, le delusioni peggiori erano quelle in campo civile. Perché proprio quando la mamma si era illusa di poter ottenere la revisione delle ordinanze lettoni grazie ad un provvedimento del giudice civile che indicava la normativa comunitaria a favore della donna, ecco che invece il tribunale dei minori, competente per materia, decideva infine di non poter decidere, sul presupposto («non fondato», dicono i legali) che la dimora abituale della minore fosse da individuarsi in Lettonia. Rimettendosi così alle valutazioni dei loro colleghi di Riga. E Samira, oggi, rischia di ritrovarsi in un vicolo cieco. A meno di un ordine di rientro che potrebbe essere impartito dal giudice civile in sede di separazione tra coniugi, resta il ricorso per Cassazione che la difesa sta preparando. E per Samira, l’ultima speranza di riavere Noor potrebbe essere nella Suprema Corte.