ALESSANDRA ZANARDI
Cronaca

Archeologia industriale e i tesori nascosti: cosa si nasconde nel Milanese

Dall’aquila fascista sull’acquedotto dell’ex Saronio di Cerro al Lambro alla storica ruota del Molino Fiocchi a San Giuliano Milanese

Saronio con Benito Mussolini

Contesto con una forte vocazione agricola, tra l’Ottocento e il Novecento anche il Sud-Est Milanese ha conosciuto i primi esperimenti industriali, con l’installazione di fabbriche e realtà produttive in un panorama ancora marcatamente contadino. «I mulini sono stati le prime macchine della storia - ricorda lo studioso Sergio Leondi -. Nel Sud-Est Milanese ce ne sono alcuni ben conservati, come il mulino Fiocchi tra San Donato e San Giuliano, quello di Cascina Villa a Poasco, il Molinazzo di Mediglia e il Folli di Robbiano". "A Peschiera Borromeo, nella frazione di Linate - prosegue l’esperto - nel 1834 ci fu un tentativo di riconversione industriale di un gruppo di mulini, cinque in totale, che da quel momento vennero usati per azionare dei macchinari per la filatura della lana. L’esperimento non ebbe successo e dopo dieci anni l’attività venne dismessa. Quei mulini tornano a macinare il grano finché, nella prima metà del Novecento, non furono utilizzati a supporto di una lavanderia, per mettere in moto le macchine da bucato". Nella fase protoindustriale sono stati numerosi gli episodi di riutilizzo in chiave imprenditoriale degli antichi mulini nati per uso agricolo. Concerie, segherie, impianti per la follatura degli stracci sono solo alcune delle attività che, non a caso, furono impiantate lungo fiumi e rogge, per sfruttare l’acqua come fonte di energia. Il Sud-Est Milanese non ha fatto eccezione.

Sul fronte delle grandi realtà industriali oggi dismesse un doveroso accenno va alla Saronio. Un’infilata di capannoni sovrastata da una torre con l’aquila fascista. Si presenta così, dopo decenni di abbandono, l’ex fabbrica di Cerro al Lambro, dove ai tempi del fascismo si producevano armi chimiche. L’impianto era un distaccamento dell’omonima ditta che aveva il suo quartier generale a Melegnano, fondata da Piero Saronio nel 1926. Nella sede centrale si producevano solventi e coloranti, mentre nella succursale si lavoravano arsenico, fosgene e una sostanza psico-attiva chiamata sostanza "p". Ai tempi della sua massima espansione, la Saronio impiegava oltre 2mila lavoratori tra Melegnano, Cerro e lo stabilimento di Foggia.

Concentrata nei primi anni Quaranta, la produzione di armi chimiche è durata poco, ma è bastata per contaminare il terreno di arsenico e mercurio, tuttora presenti nel suolo. Nel Dopoguerra il sito di Cerro è stato usato come poligono di addestramento militare, ma è dismesso almeno dagli anni Ottanta. E se della Saronio melegnanese, che ha cessato l’attività nel 1966 dopo essere stata assorbita da Acna-Montecatini, non è rimasta praticamente traccia, l’ex impianto bellico, oggi in capo all’Esercito, è ancora visibile, benché recintato. Numerosi degli edifici che punteggiano i 45mila metri quadrati di terreno sono ammalorati, mentre è perfettamente conservata la grande torre dell’acquedotto, visibile anche a chilometri di distanza e marchiata con l’aquila, simbolo del regime. L’architettura richiama quella dell’Arco dei Fileni che Cesare Balbo fece erigere in Libia nel 1937.