Il giudice Melchionna: "Ambrogino ai ferrovieri aggrediti col machete: giusto premiare il coraggio"

"Non posso che plaudire all’iniziativa. Le ferrovie sono un po’ l’emblema dell’evoluzione storica e culturale del Paese" di Gabriele Moroni FIRMA ANCHE TU LA NOSTRA PETIZIONE

Aggressione al capotreno

Aggressione al capotreno

Milano, 29 settembre 2015 - Magistrato, giudice istruttore a Bergamo, procuratore a Crema. Saggista, poeta, uomo di teatro. Benito Melchionna è anche studioso ed esperto di trasporti. Alla storia e al mondo delle ferrovie ha dedicato un libro, “Il treno. Viaggiare nell’ambiente”.

Procuratore, Il Giorno ha lanciato l’iniziativa per l’Ambrogino ai due giovani ferrovieri aggrediti con il machete. «Non posso che plaudire all’iniziativa. Le ferrovie sono un po’ l’emblema dell’evoluzione storica e culturale del Paese. Se il Paese si è mosso con gli anni, è stato perché la ferrovia ha dato impulso al movimento, alla industrializzazione. Il treno ha contribuito a unificare regioni prima distantissime fra loro, anche per cultura e tradizioni».

Parliamo di sicurezza.  «È uno dei temi caldi. Penso al fenomeno migratorio, a quei treni assediati in Croazia, simbolo di una sicurezza impossibile da garantire. Per rimanere in casa nostra, i ferrovieri addetti al controllo dei biglietti sono esposti a pericoli, come i due capitreno aggrediti dai latinos. Sono due piccoli eroi che hanno dimostrato di non recedere di fronte alla violenza».

Benito Melchionna

Cosa si può fare per migliorare la sicurezza? «Non dobbiamo portare dappertutto polizia, carabinieri, esercito. Una società che ha la necessità di chiudersi , di rinserrarsi, è una società ingessata, impaurita. Una terapia può essere quella dell’evoluzione del sistema della mobilità attraverso il treno. Mi spiego. I treni di una volta erano anche luoghi aggregativi, si stringevano amicizie, nascevano amori, si imbastivano discussioni serene. Poi sono diventati affollati, antiquati, non puntuali. Nella promiscuità, nella calca, nei rapporti più tesi, anche conflittuali, fra i viaggiatori, s’insinuano il ladro, lo scippatore. La sicurezza passa anche dalla trasparenza di treni che siano confortevoli, meno promiscui, più continui».

Questo per la microcriminalità. E per la delinquenza? «Vedo un contrasto a monte. I controlli agli accessi ai binari. La videosorveglianza. Ci sono stazioni completamente abbandonate e attorno zone dove la delinquenza la fa da padrona. E poi la risposta di polizia. Quello della polizia ferroviaria è un settore un po’ trascurato. Nella speranza che ci sia un recupero della normalità, con l’educazione, la cultura dello stare insieme. La libertà di movimento è una garanzia costituzionale». 

I suoi ricordi di viaggiatore? «Tanti. Per vent’anni ho preso il treno alle 7 del mattino alla stazione di Bergamo. Portavo i fascicoli, li studiavo per le udienze in tribunale a Crema. Tutto tempo prezioso. Oppure parlavo, facevo conoscenze. Mi immergevo ogni giorno in un mondo di varia umanità e provavo senso di appartenenza. Guardavo la campagna che mi scorreva davanti agli occhi e le trasformazioni portate dalle stagioni: la neve, il verde, l’esplosione di un campo di papaveri. Prendevo una delle mie poesie e aggiungevo un aggettivo, qualcosa. Tutto questo va a rotoli in un treno intasato, sporco, dove si è trasferita, purtroppo, la violenza di fuori».

Cosa vorrebbe dire a Carlo e Riccardo? «Siete bravi lavoratori, ragazzi coraggiosi, cittadini esemplari. La comuntà ha il dovere di darvi un riconoscimento».

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