Nella mente di Alessia Pifferi. Quell’incapacità di esprimere emozioni: "Quasi una maschera"

L’infanticida nell’esame del professionista incaricato dalla Corte: "Guardava a se stessa come una donna, non come una mamma". Nessun disturbo della personalità, ma una forma di “alessitimia”

Fiori e peluche in ricordo di Diana

Fiori e peluche in ricordo di Diana

Milano – «Alessitimia», quella che un tempo si definiva "analfabetismo emotivo": un’ incapacità di esprimere emozioni e provare empatia per gli altri. E poi "dipendenza", una "visione del mondo basata su uno stereotipo di donna fragile che può sopravvivere solo “dipendendo” da uomini che la proteggano e garantiscano rispetto alla quotidianità": Alessia Pifferi, la 38enne che nell’estate rovente del 2022 abbandonò per sei giorni la figlia Diana di 18 mesi, lasciandola morire di stenti, per stare con l’uomo che desiderava tornasse a essere il suo compagno, era una persona che "guardava a sé più come donna che come madre", scrive lo psichiatra forense Elvezio Pirfo nella perizia che la valuta capace d’intendere e di volere, di partecipare al processo, priva di disabilità intellettive, di "disturbi psichiatrici maggiori" e pure di "gravi disturbi di personalità". Alessia sì manifesta "alcuni tratti disfunzionali" che potrebbero essere ricondotti, ad esempio, al disturbo dipendente, ma "non raggiungono la qualità clinica per formulare" una diagnosi con criteri scientifici.

Il test d’intelligenza

Il perito doveva rispondere anche ai quesiti del pm Francesco De Tommasi, che ha indagato due psicologhe che si sono occupate di Pifferi a San Vittore, sul test di Wais che le avevano somministrato rilevando un quoziente intellettivo bassissimo. Per Pirfo la somministrazione del test non è stata "del tutto conforme" e l’esito "non può essere ritenuto attendibile". Il punteggio matematico doveva essere approfondito, e l’"analisi qualitativa" mostra una Alessia "restìa a un impegno" nella prova, che preferiva non rispondere ai quesiti piuttosto che tentare e sbagliare.

Le psicologhe

Le scelte delle due professioniste (che, osserva Pirfo, non erano però inquadrate nelle funzioni degli psicologi assunti dal carcere, essendo ingaggiate dall’Asst Santi Paolo e Carlo) sono state valutate "non appropriate", soprattutto per la "numerosità" dei colloqui ("a volte 4-5 a settimana" e "anche in coppia") senza "indicazioni cliniche" a supporto; un intervento "atipico", anche a fronte della "ristrettezza delle risorse professionali" per gli oltre 700 detenuti, solo sulla carta, di San Vittore. Non essendo stati però questi colloqui videoregistrati, "non è possibile una valutazione circa l’eventuale induzione o suggestione dell’imputata".

La simulazione

Pifferi è stata sottoposta sia al test “Minnesota“ per la valutazione della personalità sia al questionario Sims per rilevare un’eventuale simulazione di disturbi psichici. Non è stato possibile valutare gli esiti del primo a causa di un "approccio scarsamente collaborativo" di Alessia, che "tende a mostrarsi sotto una luce favorevole" ed "eccessivamente virtuosa e socialmente desiderabile". Nel secondo Pifferi ha realizzato un punteggio "significamente" sopra la soglia della sospetta simulazione, ma questa potrebbe non essere "strategica", osserva Pirfo, poiché "è spesso un meccanismo di difesa che sostituisce la capacità di confrontarsi in maniera matura con la realtà".

La maschera

L’Alessia che si è presentata ai periti è apparsa la stessa dei primi interrogatori videoregistrati nell’estate 2022: "sempre estremamente curata", "disponibile", con un atteggiamento "formale e a volte manierato". Pirfo sottolinea che il suo "funzionamento mentale" è "adeguato e coerente al proprio grado di acculturazione e di esperienza esistenziale", benché la "partecipazione “affettiva”" risulti "non congrua": "Non ha mai mostrato commozione neanche nei passaggi emotivamente più complessi" relativi "alla morte della figlia", e anche "l’espressività mimica" del volto è rimasta "del tutto assente e fissa, quasi indossasse una maschera".

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