ALESSANDRA ZANARDI
Cronaca

Alessandro Frigiola, il chirurgo di San Donato in un film: “Ora insegno ai giovani come si opera”

In oltre 50 anni di carriera, ha operato 12mila pazienti tra adulti e bambini. La storia del luminare della cardio-chirurgia pediatrica, adesso è diventata un docufilm

In oltre 50 anni di carriera ha operato 12mila pazienti tra adulti e bambini “E ora insegno ai giovani medici” La storia di Alessandro Frigiola 82 anni luminare della cardio-chirurgia pediatrica adesso è diventata un docufilm

In oltre 50 anni di carriera ha operato 12mila pazienti tra adulti e bambini “E ora insegno ai giovani medici” La storia di Alessandro Frigiola 82 anni luminare della cardio-chirurgia pediatrica adesso è diventata un docufilm

San Donato (Milano) – In oltre 50 anni di carriera, ha operato 12mila pazienti tra adulti e bambini. “E ora insegno ai giovani medici”. La storia di Alessandro Frigiola, 82 anni, luminare della cardio-chirurgia pediatrica, adesso è diventata un docufilm. Presentato l’altra sera a Palazzo Marino, “La vita fra le mani” - realizzato dalla regista Anna Carlucci, sorella della presentatrice Milly -, contribuirà a far conoscere l’attività di Bambini cardiopatici nel Mondo, associazione della quale Frigiola è presidente, nonché fondatore insieme a Silvia Cirri. Il medico amico dei bambini è stato a lungo primario della cardio-chirurgia pediatrica del Policlinico San Donato, dove dirige l’area chirurgica cuore-bambino.

Professore, dove trova tanta energia?

“Trasmettere ai giovani le conoscenze acquisite in tanti anni di lavoro: da questo traggo entusiasmo e motivazioni”.

Di cosa si occupa Bambini cardiopatici nel mondo?

“Compiamo missioni umanitarie nei Paesi poveri e facciamo formazione ai giovani medici. Solo nell’ultimo anno, sono stati 140 i dottori che, in arrivo dall’estero, hanno potuto perfezionare le proprie tecniche nell’International training center del Policlinico San Donato. È qui che i cardio-chirurghi possono fare pratica anche grazie a modellini del cuore umano in 3 dimensioni”.

Perché un docufilm?

“È la storia della mia vita. Una raccolta di filmati e testimonianze che, mi auguro, possa contribuire a promuovere l’attività dell’associazione. Quando ho iniziato a fare il medico, la mortalità causata dalle cardiopatie congenite era del 70%; oggi siamo scesi al 4%. Ma c’è ancora molto da fare, specie nei Paesi in via di sviluppo”.

Se tornasse indietro, farebbe di nuovo il medico?

“Senza dubbio. All’inizio volevo diventare ingegnere. Poi la folgorazione leggendo il romanzo di Cronin “La Cittadella”, col giovane dottore Andrew Manson come protagonista”.

Una vita in sala operatoria, ricorda qualche episodio in particolare?

“Quello di Amadou, 5 anni. Lo avevamo operato, ma il suo cuore non ripartiva. I colleghi hanno mollato, io no. Tre giorni dopo Amadou gironzolava per l’ospedale. Una bimba di 3 mesi nel Kurdistan iracheno. Era cianotica, aveva bisogno di cure urgenti, ma la compagnia aerea che avrebbe dovuto trasferirla in Germania non la faceva salire a bordo, nel timore che potesse morire durante il volo. Ho costruito degli strumenti e l’ho operata sul posto. Si è salvata”.