Meno aborti, e il 35% con la pillola. Ma a Nord e a Est di Milano è un’odissea

Indagine del Pd: cresce l’uso di Ru486 (più a Lodi che in Brianza). Boom d’obiettori a Mantova, Bergamo e Varese

Scritte sulla legge 194 sull'aborto

Scritte sulla legge 194 sull'aborto

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Milano - ​Qualcosa è cambiato , dopo due anni di pandemia, nella possibilità per le donne di esercitare in Lombardia il diritto a interrompere volontariamente una gravidanza (Ivg), confermato per referendum 41 anni fa. Ma ancora non assicurato a tutte le lombarde nello stesso modo. Nel 2021 le Ivg sono state 9.888 in Lombardia, 359 meno dell’anno prima e il 12% in meno rispetto al 2019, confermando quel calo degli aborti che è stato un effetto della legge 194 sin dalla sua approvazione in Italia 44 anni fa, ricorda Paola Bocci, consigliera regionale del Pd che dal 2018 ha raccolto il testimone della ricognizione che il gruppo dem al Pirellone conduce da anni, ospedale per ospedale, "dato che la Regione non ha un sito di open data né un osservatorio per monitorare il servizio, che chiediamo da tempo". Così tocca al Pd far sapere alle lombarde che la media d’obiezione di coscienza l’anno scorso s’attestava al 60% tra i ginecologi: era il 61% nel 2020, "dal 2017 cala di circa un punto all’anno", precisa Bocci, eppure in Lombardia resta più alta rispetto a regioni come Emilia Romagna, Toscana e Friuli che già nel 2019 si attestavano rispettivamente al 49, al 55,4 e al 53,7%.

«Meno di un quarto delle strutture lombarde ha una percentuale sotto il 50%", sottolinea la consigliera; in cinque ospedali dei 62 interpellati (Tradate, Angera e Gallarate nel Varesotto, Gavardo nel Bresciano e Pieve di Coriano nella Bergamasca) supera l’80%. Col ricambio generazionale, qualche situazione è migliorata nettamente: al Niguarda, che nel 2014 spendeva ottantamila euro all’anno in gettonisti avendo 14 obiettori su 16 medici in Ginecologia, l’anno scorso i non obiettori erano in maggioranza (53,8%). Ma ci sono ancora sei presidi in cui l’obiezione, nel 2020 come nel 2021, è stata al cento per cento: Saronno in provincia di Varese, Gardone, Montichiari e Iseo nel Bresciano, Oglio Po in provincia di Cremona e Asola, nel Mantovano, l’unico di questi sei in cui gli aborti si garantiscono lo stesso, ingaggiando personale a gettone come fanno altre sei delle 27 Asst più due Irccs pubblici che devono assicurare l’Ivg alle lombarde. In altri casi le aziende tamponano con trasferte (è il caso di Romano di Lombardia, dove le Ivg le fanno i ginecologi di Treviglio, col supporto di un solo anestesista non obiettore su 4) o addirittura volontari (al Papa Giovanni di Bergamo). La legge, chiarisce Bocci, "stabilisce che l’obiezione possa essere esercitata solo dal singolo operatore sanitario, ma di fatto abbiamo undici casi di “obiezione di struttura”". Alle cinque sopracitate col 100% di obiettori aggiunge infatti gli ospedali di Cinisello Balsamo, Cernusco Sul Naviglio e Vaprio d’Adda (niente aborti perché le ginecologie sono state chiuse), di Angera nel Varesotto, di Sondalo e Chiavenna in Valtellina, e benché le rispettive Asst garantiscano l’Ivg in altri presidi "la disomogeneità è un problema che costringe le donne a fare molti chilometri, incide con costi extra sul servizio pubblico e aggrava il carico di lavoro dei ginecologi non obiettori e di altre strutture, allungando i tempi d’attesa", sottolinea Bocci.

E il diritto ad abortire non è egualmente garantito per una donna che non abiti nel Lodigiano o nell’area metropolitana di Milano, dove meno del 50% dei ginecologi obietta, ma ad esempio viva a Mantova provincia, dove l’obiezione sfiora l’83%, o nella Bergamasca, nel Varesotto, nel Bresciano, dove supera comunque il 75%. Ma anche in provincia di Sondrio, col 50% d’obiettori, "l’Ivg si pratica solo nel capoluogo e solo quella chirurgica". Altra nota dolente , l’Ivg "meno invasiva" con la pillola Ru486, anche se la Lombardia è schizzata dall’8% di aborti farmacologici nel 2017 al 35% l’anno scorso, dopo la rimozione dell’obbligo di tre giorni di ricovero (mentre per l’aborto chirurgico bastava il day hospital) decisa nel 2019 dall’allora assessore al Welfare Giulio Gallera "ma soprattutto dal 2020, quando la pandemia e la conseguente penuria d’anestesisti li ha resi preferibili – attacca Bocci –. E altre regioni come Emilia e Toscana superano il 50%". E restano le diseguaglianze: 15 strutture su 51 non usano affatto la Ru486, e se nel Lodigiano il 92,6% delle Ivg si fa per via farmacologica, la Brianza arriva appena all’8,6%, e nell’hinterland di Milano garantisce la pillola solo l’ospedale di Vizzolo Predabissi, "dunque le donne sono costrette a spostarsi in città". Dove il consultorio di via Pace, legato alla Mangiagalli, è l’unico in Lombardia a offrire almeno la prima delle due somministrazioni di farmaci necessarie.

 

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