
I Limp Bizkit
Milano, 21 agosto 2016 - “Limp Bizkit. Established 1995”. Come ogni “company” americana che si rispetti, pure Fred Durst e compagni ci tengono a tenere l’anno di fondazione del gruppo ben in evidenza accanto al marchio. Anche perché quel ventennio di palcoscenico con cui i Limp si offrono in pasto domani al popolo del Carroponte di Sesto San Giovanni gli ha regalato il sogno della vita, catapultando il loro tellurico mix di ritmiche rock e testi rappati nel pantheon del nu metal statunitense. “In molti mi hanno chiesto di etichettare il suono di Limp Bizkit, ma non ci sono mai riuscito. Forse perché non so esattamente com’è” - spiega il frontman della band, 46 anni compiuti proprio ieri.
“Seguo molti nuovi artisti della scena californiana, ciascuno con un suo stile musicale che amo, e pure io, quando suono da solo, faccio qualcosa di molto diverso dalla musica dei Limp Bizkit; ma non appena mi chiudo con gli altri in una stanza, non importa cosa abbia per la testa, il suono finisce per essere quello e solo quello. Spremendo le meningi potrei inquadrarlo in un rock-rap alla Beastie Boys contaminati dai Cure dopo un incontro con i Pantera influenzati a loro volta dai Cypress Hill”. Un successo da 50 milioni di album venduti, grazie a pietre filosofali come “Significant Other” (1999) e quel “Chocolate Starfish and the Hot Dog Flavored Water” (2000) da cui proviene buona parte del materiale di questo spettacolo in arrivo all’ex parco Breda. “Ho sempre sognato di fare il regista” spiega Durst, a cui il successo ha permesso pure di coronare pure quest’altra ambizione artistica , con la direzione di due film, “The education of Charlie Banks” (vincitore del Tribeca Film Festival), “Una squadra molto speciale - The longshot”, e l’interpretazione di piccoli ruoli in blockbuster come “Zoolander”, “436 - La profezia” e nella fiction “Dr. House”. “Tra il ’94 e il ’95 ho messo assieme una band e diretto alcuni video. Ma quando mi sono ritrovato un microfono tra le mani, ho pensato che dovevo dire qualcosa. Anche se al tempo non avrei certo potuto certo prevedere che i Limp Bizkit si sarebbero trasformati nel volano attorno a cui hanno ruotato alcune delle cose più belle che mi sono successe nella vita consentendomi di superare i traumi di un’adolescenza segnata dai soprusi e dal bullismo”.
La pubblicazione del nuovo album “Stampede of the disco elephants” continua a scivolare nel tempo e l’ultima fatica “Gold cobra” è ormai del 2011, ma questo non sembra impensierire Durst, l’inquietante chitarrista mascherato Wes Borland (transitato pure al fianco ci Marilyn Manson), i cugini Sam Rivers e John Otto, rispettivamente bassista e batterista della band, che nel corso dello show trovano modo di rileggere alla loro maniera cose anche di altri come quella “Faith” di George Michael che non manca quasi mai, oppure, a seconda delle serate, “Thieves” dei Ministry, “Behind blue eyes” degli Who, “Smells like teen spirit” dei Nirvana e diverse altre ancora. “A me che vengo da una sperduta fattoria del Nord Carolina, l’opportunità di viaggiare e di vivere tante esperienze straordinarie ha spalancato gli occhi sul mondo - spiega Durst -. Al di là dei dischi, la vera dimensione della nostra musica è quella live. Perché abbiamo un pubblico che assorbe tutta la nostra energia e riesce a darcela indietro aumentata. E più diamo, più riceviamo. Probabilmente non siamo mai stati fortissimi nello scrivere canzoni e non siamo dentro ai segreti del suono, ma quella che accade ogni sera sulla scena è una fortuita quanto fortunata collisione urbana”.