REDAZIONE MILANO

Antonio Cornacchione: "La Milano delle fabbriche e la sua grande umanità. Ecco la mia scuola di vita"

Antonio Cornacchione racconta la sua vita al quartiere Chiesa Rossa di Massimiliano Chiavarone

Antonio Cornacchione

Milano, 12 settembre 2015 - «Milano è una scuola di vita». Lo racconta l’attore Antonio Cornacchione.

Ha cominciato a frequentare questa scuola da piccolo? «Sì, le “prime classi” le ho fatte in Lombardia, per la precisione a Casteggio un paese dell’Oltrepo Pavese dove i miei genitori si erano trasferiti quando avevo pochi mesi. Siamo originari di Montefalcone del Sannio, in provincia di Campobasso. Nel pavese abitavamo in una cascina in mezzo ai vigneti».

Quando vi trasferiste in città? «Siamo arrivati a Milano nel 1970. Avevo 10 anni circa. Mio padre era stato assunto all’Alfa Romeo di via Scarampo. Abbiamo sempre vissuto nella zona 5, nei pressi di via Chiesa Rossa».

E’ la strada che preferisce? «Sì, ci sono cresciuto. In particolare mi piace la zona che storicamente è chiamata la “Conca Fallata”».

Fallata, cioè sbagliata? «Sì, siamo sul Naviglio Pavese. La Conca Fallata si interseca con il Lambro meridionale e fa parte di quel sistema di Navigli ideato da Leonardo Da Vinci. I lavori cominciarono, però, con gli Spagnoli nei primi anni del 1600 ma vennero interrotti per motivi economici proprio fino a questo primo tratto di canale che fu abbandonato, per questo è stato chiamato “Fallato”, anche per indicare, già allora, lo spreco di soldi pubblici. Poi la costruzione continuò con gli Austriaci e i Francesi che completarono il Naviglio Pavese. Questa zona è anche il simbolo della Milano produttiva degli anni ’70».

E’ stata la Milano della sua formazione? «Sì, la colonna sonora di quegli anni, per me, che ero un ragazzino, erano le sirene delle fabbriche che sorgevano nei paraggi, dalle cartiere Binda a tante piccole e medie industrie. Era il quartiere delle tute blu. A parte le tensioni che si respiravano per le lotte dei lavoratori e per il terrorismo, sono cresciuto circondato da un’elite operaia, cioè da persone che si erano evolute durante il loro percorso lavorativo, che avevano studiato stimolati dalla fabbrica, che volevano saperne di più per migliorare la loro vita e quella degli altri. Da loro ho imparato anche cos’è lo spirito di partecipazione».

Cosa intende dire? «Parlo del collaborare, del lavorare insieme per ottenere un risultato. E questo atteggiamento si è riversato nel quartiere che ha sempre lottato per ottenere miglioramenti. Tante le battaglie vinte per la riqualificazione della Chiesa Rossa e delle cascine anche settecentesche che sorgono nei dintorni. Alcune sono state restaurante. Anzi in una, vicino casa mia, allevano anche le mucche per cui è possibile comprare il latte a chilometro zero».

E Milano ha cambiato pelle da come l’aveva vissuta da adolescente? «Sì, non ci sono più le fabbriche, non c’è il proletariato, ma la massa. Forse il primo era più protettivo. La seconda, invece, mi dà l’idea di tutti contro tutti, di comportamenti senza scrupoli, come fregare il parcheggio a un’altro che l’aveva visto per primo».

La Conca Fallata era finita anche in un film? «Sì, in “Sbatti il mostro in prima pagina” di Marco Bellocchio, la scena finale era stata proprio girata qui. E in fondo questa zona è stata anche testimone del mio cambiamento di vita. Dal 1980 al 1989 ho fatto il ragioniere all’Olivetti, ma non ce la facevo più. Non trovavo la ragione per andare a lavorare e loro non ne avevavo una per pagarmi lo stipendio. Frequentavo le scuole serali di teatro. Poi ho lasciato il posto fisso per fare l’attore. E proprio a Milano ho vissuto gli anni più belli».

Quali per esempio? «Quelli di Zelig negli anni ’90 a teatro e poi in tv con Paolo Rossi , Fabio Fazio, Enrico Bertolino. E Milano era diventata anche un simbolo per raccontare i cambiamenti della società, dalla Milano da bere a Tangentopoli, dall’impegno al disimpegno, da Berlusconi alla crisi economica e al ritorno di una coscienza civile e alla voglia di partecipare di nuovo».

Cosa la fa soffrire parlando di Milano? «Vedere che ci sono tanti che hanno preso molto e dato poco». Milano le ispira anche sogni? «Tanti e tutti hanno a che fare con il territorio. Mi piacerebbe per esempio occuparmi di una delle cascine della mia zona, promuovendo una raccolta fondi. E poi amo molto girare la città in bicicletta seguendo il Naviglio dalla Darsena fino a Pavia, ma un pezzo del percorso non è ciclabile. Anzi può chiedere al Sindaco se rende ciclabile il tratto che va da viale La Spezia ad Assago?».

di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it