Delitto di Pordenone: "Ora è chiaro: qualcuno li odiava"

Zelo Buon Persico, la famiglia di Teresa Costanza chiede giustizia

Carmelina e Rosario Costanza, i genitori di Teresa

Carmelina e Rosario Costanza, i genitori di Teresa

Zelo Buon Persico, 20 dicembre 2016 - «A noi non interessano le voci, vogliamo soltanto giustizia. Giustizia per due ragazzi uccisi nel fiore degli anni, insieme con i loro sogni e le loro speranze». Mentre proseguono in tribunale le schermaglie in punta di fioretto tra accusa e difesa, Rosario Costanza tira dritto e prosegue senza sosta nella sua caccia alla verità sulla morte della figlia Teresa e del suo fidanzato Trifone Ragone. Entrambi giustiziati nella loro macchina in un parcheggio di Pordenone, con sei colpi di pistola calibro 7,65. Dopo la scorsa udienza allora, nella quale si era parlato dell’assenza di Dna sull’arma o sui vestiti di Giosuè come di un punto a favore dell’impianto difensivo, ora tocca all’accusa segnare un gol in contropiede: «Finalmente è stato reso a noto a tutti che il profilo Facebook da cui Giosuè scriveva a Teresa era stato aperto sia da Ruotolo che dalla sua fidanzata, Maria Rosaria Patrone – chiarisce infatti Giacomo Triolo, legale dei Costanza –: cosa che dimostra ulteriormente l’astio che questa coppia covava nei confronti di Teresa e Trifone». Queste, nello specifico, le parole usate in aula da una delle ragazze, Anna Mena Rea, che inchioda anche Rosaria alle sue responsabilità: «Maria Rosaria ci spiegò che con i pc della caserma Giosuè aveva creato un profilo Facebook femminile. Lo avevano pensato entrambi però, e da lì avevano mandato due o tre messaggi alla fidanzata di Trifone per dirle che lui la tradiva». Ma non basta. L’amica infatti ha riferito anche che, il giorno prima di essere sentita dai carabinieri, Maria Rosaria si era presentata a casa sua e le aveva chiesto di parlarle lontano dai cellulari: «Mi chiese di non dire nulla del profilo Facebook e neppure del suo stato di agitazione – continua –. Temeva che fossero elementi che potevano collegare Giosuè a Trifone, e sapeva che Giosuè non aveva alibi per quella sera perché era a casa da solo a giocare con la playstation. Temeva anche che potesse essere licenziato, perché i militari non potevano utilizzare i pc della caserma per motivi personali».

Eppure, nonostante ciò, sono proprio alcune delle testimonianze, a tratti un po’ discordanti, degli amici della Patrone a turbare di più papà Rosario Costanza: «Hanno raccontato di una discussione in macchina con la fidanzata di Ruotolo in cui parlavano proprio dell’omicidio – chiarisce il genitore all’uscita dall’aula della corte di Assise di Udine –. Hanno aggiunto che Rosaria diceva cose assurde, salvo poi non riuscire a ricordare esattamente cosa dicesse. Io non ho parole, qui stiamo parlando dell’assassinio a sangue freddo di due ragazzi e c’è ben poco da scherzare: chi sa qualcosa deve parlare».