La storia di Najla Aqdeir: dalla fuga dalla Libia al coma. Poi la rinascita col mezzofondo

L’atleta 28enne ha incontrato gli studenti e le studentesse del Canossa di Lodi. A loro ha raccontato come l’atletica l’abbia salvata più volte

Najla Aqdeir con gli studenti

Najla Aqdeir con gli studenti

Lodi – È arrivata in Italia dalla Libia a 11 anni con una grande passione per lo sport. Prima ha praticato il calcio e poi ha scoperto di avere un talento naturale per la corsa. Si è specializzata nel mezzofondo diventando una delle promesse dell’atletica leggera italiana. Il suo nome è Najla Aqdeir, ha 28 anni e ha incontrato gli studenti e le studentesse dell’Istituto "Canossa" di Lodi per raccontare la sua storia. L’incontro è avvenuto nella palestra della scuola ed è stato programmato all’interno del laboratorio di giornalismo. Insieme agli alunni erano presenti il docente Enrico Oldini e il collega Francesco Ronchi, insegnante di educazione fisica e amico di Najla.

"In Libia – ha raccontato - non potevo correre o imparare una disciplina sportiva. Sono cose riservate ai ragazzi. In Italia, invece, ho potuto realizzare il mio sogno. Ma non è stato facile perché, soprattutto all’inizio, non conoscevo la lingua italiana e molto spesso venivo presa in giro. La corsa mi ha aiutato ad integrarmi. Sono felice di essere qui con voi, in una palestra, perché l’atletica ha rappresentato per me una grande occasione per superare tutti gli ostacoli che può incontrare una persona quando si trasferisce in un altro Paese".

Gli studenti, a questo punto, hanno iniziato tempestarla di domande. "È stato lo sport – ha detto – ad aiutarmi. A Milano mi allenavo tutti i giorni ed ho iniziato a vincere nelle competizioni ufficiali. Ero la più veloce e tutti mi rispettavano. Anche il mio italiano è migliorato grazie alla scuola. Ho imparato a credere in me stessa e a non mollare mai".

Najla ha descritto la grande felicità che provava grazie ai successi sportivi. Ma un pericolo imprevisto era in agguato. Quando ha compiuto 16 anni i suoi genitori l’hanno portata in Marocco per celebrare un matrimonio combinato. Najla, però, si è ribellata ed ha rifiutato di obbedire all’ordine della famiglia. "Ho difeso la mia libertà – ha spiegato - e sono scappata. Non volevo sposarmi come accadeva alle altre ragazze libiche. Volevo soltanto correre e trovare un lavoro che avesse a che fare con lo sport. Purtroppo la mia famiglia non ha compreso il mio desiderio. Mi sono sentita sola e abbandonata".

Najla ha spiegato di avere commesso, in un momento di sconforto, un gesto che l’ha portata a rimanere in coma per 5 giorni: "Ma quando mi sono svegliata ho vissuto una grande tristezza. Ho capito che dentro di me c’erano le forze per andare avanti e lottare per la mia felicità. Ho pensato subito alla corsa. Avevo ancora una grande possibilità e non dovevo sprecarla".

Najla, grazie all’atletica, è ripartita trovando le motivazioni per vivere liberamente, affrontare con coraggio e superaare tutti i fantasmi del suo passato.

Oggi non solo pratica e insegna la corsa in un centro sportivo a Milano ma vive felicemente e si è riconciliata con la sua famiglia.