
La dottoressa Olivia Zanaletti
Fombio (Lodi), 30 gennaio 2021- Olivia Zanaletti è una storica dottoressa di famiglia della prima zona rossa Covid di febbraio. Ha lavorato a Orio Litta 13 anni e dal 1996 ha lo studio a Fombio. Si occupa di 1500 pazienti di cui 1200 residenti a Fombio e Retegno e 300 a Codogno dove, il 21 febbraio 2020, è stato scoperto il paziente 1 Covid. Una professionista di esperienza che, come altri, mai avrebbe pensato di dover fronteggiare una pandemia. E che ora porta tante ferite e tanto coraggio nel cuore.
Dottoressa, il territorio, soprattutto in epoca Covid, sta soffrendo carenza di medici di famiglia. Come mai?
“Succede perché non sono stati lungimiranti i politici che hanno programmato accessi all'università con numero chiuso. Io vado in pensione tra 2 anni e per sostituire i medici della nostra categoria, che lasciano a 68 anni, non è stato calcolato l'ingresso di giovani sostituti. C'è infatti molta carenza di medici laureati. Noi, inoltre, dopo sei anni di medicina potevamo iniziare subito a lavorare senza avere una specialistica. Ora invece occorre una specialità, altrimenti il laureato può fare solo guardia medica, medico di fabbrica o del carcere e poco altro. Per svolgere il nostro lavoro, invece, devono studiare altri tre anni. Per accedere alla specialità inoltre si deve superare un esame molto impegnativo. Ho una nipote laureata a settembre e ha un anno di tempo per prepararsi e studiare. Non avendo nemmeno un primo anno di specialità, non può avere la convenzione come medico di famiglia. Lo stanno sfruttando per fare supplenze”.
Ci sono paesi in difficoltà?
“Per esempio a Guardamiglio sono disperati. Non hanno il riferimento fisso di un medico di famiglia (lunedì partirà un servizio di guardia medica provvisorio, ottenuto dal sindaco, in attesa si trovi un medico). Però la continuità di cura sarebbe invece importante”.
Prima e seconda ondata Covid, ci racconta la sua esperienza?
“La prima ondata è stata una guerra. Qui siamo stati colpiti molto, eravamo nel cuore dalla pandemia. Gestione impossibile. Colti alla sprovvista, con il medico di famiglia senza mezzi. La cosa più brutta è stata l'impotenza. Non conoscevamo la malattia né avevamo gli strumenti per combatterla. Una volta capita l'utilità dei tamponi, inoltre, fino all'estate siamo comunque rimasti nell'impossibilità di prescriverli. All'inizio c'era la gestione telefonica dei pazienti, senza farmaci per curarli, salvo l'antipiretico. Ho avuto morti vicini e non potevo andare da loro. La prima settimana mi hanno messa in quarantena perché avevo visitato alcuni casi Covid ed ero a rischio. Un mio paziente giovane a un certo punto è svenuto al telefono. E le ambulanze erano intasate. Mezz'ora al telefono per chiamare il 112. La seconda ondata di ottobre e novembre, invece c'è stata, ma diversa, perché si conosceva di più la patologia e come muoversi. Tra i pazienti non ho avuto perdite, ci sono stati tre ricoveri risolti bene , anche se gli interessati non sono ancora guariti del tutto. Sapevamo di poter fare cortisone a domicilio e prescrizione tamponi e le Usca, squadre per accertamenti a domicilio, finalmente erano operative. Ma sono state attivate solo in autunno. A Piacenza invece hanno sempre funzionato. Inoltre non c'è da sottovalutare il rischio Covid negli ospedali misti, si rischia meno durante le visite strumentali”.
Chi sono i più fragili oggi?
“Gli anziani sono i più colpiti dal Covid. Ci sono anche giovani che sono stati molto male, una 52enne è mancata e non aveva grandi patologie. Giusto vaccinare gli ultra 80enni”.
Farebbe il vaccino anche a chi ha già contratto la malattia?
“Chi ha fatto il Covid, a mio parere, deve aspettare a vaccinarsi perché c'è il rischio degli effetti collaterali. Io oggi ho fatto la seconda fiala con qualche effetto collaterale in più. Durano al massimo un giorno e mezzo, nulla di forte al momento, ma ci sono. Chi ha gli anticorpi potrebbe rimandare il vaccino più avanti. Non sappiamo quanto durerà la copertura. Lo vedremo ora da chi ha fatto la sperimentazione a giugno e luglio”.
Cosa consiglia ai medici che si avvicinano adesso alla professione?
“Le giovani leve, che in maggioranza sono donne, sono determinate, hanno coraggio e fiducia in ciò che hanno imparato. Il numero chiuso ha permesso di imparare meglio rispetto ai tempi nostri. Quando vado in ferie i giovani laureati arrivano a sostituirmi e sono davvero preparati. Quello che si impara con l'esperienza ovviamente gli manca, devono andare meno veloci, un’abitudine data anche dal'uso che fanno dei mezzi tecnologici. Andare cauti ci salva dallo sbagliare, mai dare tutto per certo e per scontato. Piedi per terra sempre”.