"Il successo del medico ispirato a me? È perché Doc rappresenta tutti noi"

Piccioni, dopo la perdita della memoria, lavora ancora nell’Asst di Lodi. "Con Argentero e Spollon amicizia intensa"

Luca Argentero nella fiction ispirata al professor Pierdante Piccioni (a destra)

Luca Argentero nella fiction ispirata al professor Pierdante Piccioni (a destra)

Lodi - «La prima puntata della seconda serie, su una scala di valori da zero a dieci, mi è piaciuta 11!". Il dottor Pierdante Piccioni, come milioni di italiani, non vede l’ora di sedersi stasera davanti alla televisione per godersi i nuovi episodi della fiction record di ascolti “Doc - Nelle tue mani”, in onda su Raiuno. Un boom di consensi sempre più sorprendente per le vicende del reparto guidato da Andrea Fanti, il personaggio interpretato da Luca Argentero nato su ispirazione di quanto accaduto realmente proprio al medico Piccioni, il quale in seguito ad incidente stradale del 31 maggio 2013 sulla tangenziale di Pavia (quando lavorava come primario dei Pronto soccorso di Lodi e Codogno), entrò in coma e, a causa di una lesione alla corteccia cerebrale, perse 12 anni di memoria (ricordandosi poi solo quanto vissuto fino al 25 ottobre 2001). Raccontò tutto nel libro “Meno dodici. Perdere la memoria e riconquistarla: la mia lotta per ricostruire gli anni e la vita che ho dimenticato“, che è stato proprio il punto di partenza della fiction “Doc”. Il medica-drama firmato LuxVide, che vede tra i protagonisti tra gli altri anche Matilde Gioli, dopo il grande successo ottenuto nel 2020, all’esordio della scorsa settimana ha fatto registrare un seguito di 7 milioni e 54mila spettatori pari al 30,4% di share, numeri altissimi per questa fase storica.

Dottor Piccioni, qual è stato il suo coinvolgimento in questa seconda stagione? "Sono stato, possiamo dire, lo sceneggiatore per la parte medica. Se la prima stagione era stata molto più autobiografica nei confronti della mia vicenda, ora i personaggi iniziano a camminare con le loro gambe. Il mio lavoro si sviluppava settimanalmente con gli sceneggiatori Francesco Arlanch e Viola Rispoli e ci confrontavamo su come raccontare i vari casi medici. Che sono tutti casi veri, di patologie realmente accadute. Certo poi un po’ romanzate, ma le malattie sono vere".

Sono casi di cui si è occupato lei? Sono casi avvenuti quindi negli ospedali lodigiani? "Anche, ma non solo. Quando mi sono risvegliato dal mio “buco nero“ ho scoperto, perchè mi hanno raccontato le persone che mi stavano vicino, di essere stato tante cose: docente universitario, consulente del ministero della Salute e anche co-fondatore dell’Academy of Emergency Medicine and Care. Proprio per questo impegno con l’Academy, che porto ancora avanti, mi confronto regolarmente con colleghi di tutto il mondo. E così conosco casi particolari e interessanti".

È andato a Roma, sul set? "Sì, mi è capitato. Anche perché farò un cameo in una puntata pure in questa stagione. Non posso svelare quando, ma posso dire che sarà ancora una apparizione muta".

Beh, una battuta avrebbero potuto fargliela dire... "Loro volevano. Ma sono stato io a preferire di no. Anche perché, come ho detto agli attori scherzando, se poi incomincio anche a recitare poi non ce ne è più per nessuno di loro".

A proposito di attori, lei avrà avuto contatti con tutti. Chi è quello che chiede più consigli dal punto di vista dei comportamenti strettamente medici? "Un po’ tutti. Ovviamente il rapporto più fitto è con Argentero con cui ormai siamo amici (si sentono ogni venerdì dopo le 10 per commentare gli ascolti, ndr ). Però, come nella fiction anche nella realtà, c’è lo specializzando del cuore: Pierpaolo Spollon".

Le è capitato che qualche attore sul set le chiedesse un consulto su un problemino di salute? "Certo, spesso. Non posso entrare però nei dettagli. Come si dice: meglio sempre avere amici un medico o un avvocato, possono sempre servire".

Tornando alle sceneggiature, dai primi due episodi sembra che lo spettatore venga già catapultato in un’epoca post Covid. Forse quando sono state scritte le storie si pensava che nel momento della messa in onda l’emergenza sarebbe stata un ricordo? E non sarebbe stato interessante raccontare anche come la squadra di Fanti si sarebbe comportata col reparto invaso di pazienti Covid? "Ci siamo confrontati molto. Abbiamo pensato che il Policlinico Ambrosiano non poteva non raccontare il Covid. Però abbiamo voluto anche lanciare messaggi di speranza, perchè prima o poi da questa situazione usciremo. Abbiamo voluto essere “terapeutici”, un termine che quando ci attribuiscono ci fa molto piacere. Per quanto riguarda l’emergenza Covid in reparto...vedrete".

Nella fiction si insiste molto sull’importanza del fare squadra in reparto. È così anche nella realtà ospedaliera? "C’è sempre da lavorare su questo aspetto. Ma le posso dire che io, pur potendo andare in pensione, ho preferito continuare a lavorare perché sono in una bellissima squadra".

Di cosa si occupa ora in ospedale a Lodi? E di quei 12 anni non si ricorda proprio nulla? "Nulla, ho solo ricordi riferiti. La mia è una disabilità a tutti gli effetti. In ospedale abbiamo creato una cabina di orientamento per prefigurare il percorso dei pazienti più difficili che vengono dimessi e devono andare in case di riposo piuttosto che tornare a casa: io lavoro con infermieri e assistenti sociali".

Dopo il successo di Doc è aumentata la considerazione in ospedale nei suoi confronti? "Vengo visto come un animale strano. Cerco sempre di tenere distinti i piani, mantenendo al 100% la mia professionalità. Di certo però qualcosa è cambiato".

In conclusione, perchè piace così tanto Doc? "È qualcosa di incredibile. Siamo sorpresi anche noi. è già stata comprata da più di 100 Paesi nel mondo. Ho fatto interviste con Argentero, collegati con videochiamate, in Canada, Colombia solo per citarne due. Diciamo che Doc siamo tutti noi, è uno che cade e si rialza. E poi l’altra cosa che piace è l’attenzione dedicata al paziente. Quello che tutti vorrebbero fosse riservata in ospedale. Il grosso scontro, che si è già visto nelle prime puntate, tra il medico empatico e il medico che si attiene solo alle regole impersonificato dalla virologa Cecilia Tedeschi (interpretata da Alice Arcuri).