
Codogno
Codogno (Lodi), 29 febbraio 2020 - o sono di Codogno. Sì, esatto, proprio quel posto di cui ora si parla senza sosta, un paese di 16mila anime di cui nessuno sapeva nulla e che è stato catapultato in un folle circo mediatico da venerdì 21 febbraio. Una mattina come le altre, una notizia che urlava tra social e televisione, le nostre vie, quelle in cui siamo cresciuti, quelle che ti fai con gli amici avanti r indietro mille volte il sabato sera, in diretta ovunque. Casa mia, l’ingresso del vicolo dove stanno mamma e papà è in TV. L’insensato quanto incontrollato pensiero "oh, oh, magari si affacciano...".
E subito un secco "ma che succede?" Un’escalation di confusione e ansia. Non c’e tempo di pensare, è una cascata di parole, di numeri di indizi. Contagio, paziente zero - dicono - focolaio. Ma quella e solo casa. E io non capisco, penso alle cose che ho pronte qui in cucina da portare a mamma. Io sono qui nelle Marche, nella zona rossa ho la fetta piu grande dei miei affetti, la percentuale più elevata dell’amore che posseggo. Ho mamma e papà che sono arrivati con i loro capelli bianchi, le loro fragilità e i loro anni per trovarsi in una realtà che non ha nulla di chiaro e sensato per loro, che si affidano a me che sono a trecento chilometri e a mio fratello per ave re aggiornamenti veritieri su quello che succede là dentro, il tutto tra continui tentativi di truffa da parte di sciacalli che si fingono personale sanitario o altro. Ho amici lì, tra i più cari che sono “famiglia”, angeli su cui contare. Al di la di tutte le polemiche e le emergenze reali ci sono le persone, gli affetti che devono restare lontani quando invece il bene di prima necessità il primo, sarebbe proprio restare vicini. Un esempio, la chiamerò Anna. Lei oggi ha perso suo padre e la madre è nello stesso ospedale a lottare per la sua vita. Lei è murata a casa, non può “salutare” l’ultima volta suo padre e non riesce a smettere di pensare che nel suo ultimo respiro era solo, non può assistere sua madre ben sapendo che probabilmente è spaventata a morte e preoccupata per quel compagno di vita che lei pensa sia ancora vivo al piano sotto. Ecco... coronavirus è anche questo, essere strappati, senza che nessuno ti avverta, dai tuoi cari, dai tuoi affetti, sperare da lontano che tutto vada bene, sentirsi impotenti e avere voglia di correre da loro, ma non poterlo fare.
Il coronavirus non è solo fobia, amuchina, supermercati vuoti: qualcuno sta perdendo qualcuno che ama e questo non andrebbe mai dimenticato. Non andrebbe nemmeno dimenticato che a quel qualcuno il fatto che "tanto è letale solo per chi è già debole di salute" non e di alcun conforto. Di questo nessuno parla ...io ritengo sia il punto chiave di tutto. L’ironia aiuta ad alleggerire ed è necessaria per tenere i mostri un po’ più a distanza , ma ricordiamoci sempre delle persone , sempre. Ci stanno attribuendo ogni colpa, quando in realtà dovrebbe esserci attribuita soltanto la sfortuna di essere stati i primi a lanciare un allarme su qualcosa che era già ampiamente presente sul territorio in molti ospedali al di fuori della zona poi finita quarantena, ma che il protocollo degli esperti forse aveva sbagliato a valutare. Ci stanno augurando di tutto, da vulcani attivi che ci colino sulla testa a bombardamenti “sanificatori”, un video ieri diceva che il fatto che sia capitato a noi lassù sia la "cosa più bella del modo". A Codogno ci sono solo persone, anziani, bambini, famiglie, c’è gente onesta, gente altruista, perché è di quelli che sono responsabilmente rimasti che parliamo, di quelli che sopportano a fatica e senza alcuna serenità ogni minuto di quarantena (in troppi pensano sia una vacanza), tutto questo con un senso di responsabilità e civiltà degno di rispetto. Le mamme tengono i bambini sereni, gli amici cenano insieme, via computer. Sforzi dignitosi e silenziosi. Invece di seminare odio spendete una parola d’incoraggiamento: troverete un’accoglienza inimmaginabile. Rimaniamo umani. *Cittadina di Codogno