
Joshua Mikaele del Parabiago Rugby (StudioSally)
Parabiago (Milano), 13 febbraio 2015 - Sette mete nel campionato di serie B, la sua specialità è però il placcaggio dell’avversario: così la terza linea samoana Joshua Mikaele, 22 anni, ha conquistato i rossoblù di Parabiago. Il giocatore, assieme al compagno di squadra Andreas Schlecht e alle Gallinelle della squadra femminile Martina Lo Vullo, Clara Mazzagatti e Giulia Rizzi non si è voluto perdere all’Olimpico di Roma l’esordio azzurro nel Sei Nazioni con tanto di foto ricordo davanti al Colosseo.
Joshua, perché ha scelto di giocare in Italia? «Fino alla scorsa stagione ho giocato ad Auckland, dove dall’età di 9 anni mi sono trasferito con la famiglia. Ho militato nel Ponsonby, che nella storia del nostro sport ha dato più giocatori agli All Blacks neozelandesi. La scorsa estate ho avuto l’occasione di stringere amicizia con un addetto del Rugby Parabiago e da lì è nata la proposta di venire a conoscere la realtà europea. È stata la curiosità di fare una nuova esperienza anche culturale a portarmi qui».
Come si sta trovando in Italia e in particolare a Parabiago? «Mi sento quasi a casa, l’ambiente di Parabiago è il mio preferito, perché è come una grande famiglia. Di questo ringrazio il presidente Marazzini, il direttore sportivo Chini, l’allenatore Mamo e tutti i compagni».
Quando non si allena che cosa fa durante la giornata? «Studio, perché sto frequentando il liceo scientifico al Cavalleri. Per l’alloggio sono ospite della famiglia Schlecht, che ringrazio. Papà Karl spesso mi cucina la pasta all’amatriciana, ne vado matto».
Come ha trovato il livello del campionato italiano? «In confronto a quello neozelandese è sì inferiore e molto più lento, però fondamentali come la mischia e la touche sono ormai ben curati così come la preparazione atletica».
Dove vuole arrivare con Parabiago? «I playoff sono l’obiettivo minimo e se continueremo a lavorare come stiamo facendo sono alla nostra portata».
Cosa l’ha impressionata di questa società? «Non pensavo che una realtà italiana fosse così sviluppata nel movimento giovanile, è stata una piacevole sorpresa vedere il vivaio».
Per la sua nazione il rugby è un culto, perché i genitori qui in Italia dovrebbero portare i figli a praticarlo? «Perché è un gioco di squadra dove se non amalgami le individualità non vai da nessuna parte. Inoltre ci si abitua alla disciplina, al rispetto delle regole, degli arbitri e degli avversari. Un giovane poi impara a prendere confidenza nei propri mezzi».
di Luca Di Falco