Vicini ma distanti, giovani isolati in bolle

Il fenomeno degli hikikomori coinvolge sempre di più gli adolescenti tra i 13 e i 15 anni. Ascolto e dialogo gli antidoti più efficaci

È sempre più frequente anche in Italia il fenomeno degli hikikomori (da hiku “tirare indietro” e komoru “ritirarsi”), giovani che stanno incollati a uno schermo per molte ore, che decidono di "chiamarsi fuori" dalla vita sociale, adolescenti che si sono isolati dal mondo. Si sentono degli "ospiti indesiderati", temono di far parte di un mondo che li giudica e sopravvivono in una stanza recintata da fili spinati invisibili. Sviluppatosi in Giappone, il ritiro sociale sta conoscendo un forte incremento anche in occidente, rinchiudendo tra quattro mura i ragazzi che ne soffrono.

La causa sembra essere la competitività di una società sempre più frenetica, che permette sempre meno di sbagliare e porta adolescenti come noi o poco più grandi ad imboccare strade alternative che permettano di fuggire da questa corsa attraverso l’isolamento. In un mondo sempre più costruito sull’immagine, sulla performance, che chiede conferma social della propria identità, un brutto voto, una parola di troppo o un atto di bullismo possono trasformare la camera in un luogo in cui ripararsi, dove forse si smetterà di sentire il dolore. "Ho tutto quello che voglio senza muovermi": le nuove generazioni sono agevolate dalla tecnologia, che offre comfort che trovano nella loro camera dove ci sono telefono, computer e videogiochi. Internet diventa uno strumento per socializzare, ma a volte si trasforma in una trappola virtuale in cui nascondersi per scampare al confronto con gli altri. Evitare tutto e tutti diventa quindi la parola d’ordine degli hikikomori, che vorrebbero sparire dal mondo, costruendo una nuova identità virtuale. Sono chiusi nella loro prigione personale di cui sono gli unici ad avere le chiavi e qui le paure si ingigantiscono e i problemi comuni sembrano montagne insormontabili. Ciliegina sulla torta è stata la pandemia: l’età media del fenomeno, che interessava i ragazzi tra i 16-19 anni, con il lockdown si è abbassata e le richieste di aiuto sono aumentate del 30%. Dopo aver passato mesi davanti ad uno schermo, tornare alla vita reale è stato difficile per tutti e soprattutto per noi adolescenti, che spesso ci sentiamo inadeguati in una società in cui il giudizio altrui conta sempre di più. Ma non siamo soli: ci sono persone pronte ad ascoltarci, genitori ed educatori come Sara, che nel docufilm "Ho tutto il tempo che vuoi", riesce a rompere la bolla in cui Matteo si era rifugiato. L’ascolto e il dialogo sono l’unico vaccino che può aiutare un adolescente che manifesta la richiesta di aiuto, velata o evidente. Occorre però avere un po’ di fiducia in se stessi: "Anche quando non si vede una via d’uscita, a volte per fare luce, basta accenderla, ma bisogna avere voglia di farlo, alzarsi e trovare l’interruttore", afferma Isa, diciassettenne vittima della sindrome da ritiro sociale tornata ad affrontare la vita vera.