
La Manifattura di Legnano (StudioSally)
Legnano (Milano), 22 agosto 2015 - «E tutti i caminuni drizzi e storti ca füman fin da fàti sufagà»: se non fosse per la ciminiera della Manifattura di Legnano, i più proprio non riuscirebbero a visualizzare cosa voleva descrivere Ernesto Parini nella sua “Me car Legnan”, la canzone che è l’inno ufficiale della città dal 1949. Di “tutte le ciminiere dritte e storte, che fumano fino a farti soffocare”, infatti, quella alta settanta metri, costruita interamente in mattoni, che domina il centro cittadino e che da sempre è il simbolo della Manifattura, è proprio l’ultima rimasta.
Tutte le altre sono state demolite, una dietro l’altra, scomparendo nel fumo della memoria, così che oggi solo la storia ricorda che nel secolo scorso Legnano era conosciuta come la «Piccola Manchester d’Italia», a testimonianza di una città dove le fabbriche erano nate prima delle case. Col tempo, quei luoghi di lavoro si sono trasformati in zone di “archeologia industriale”: allocuzione spesso utilizzata dalle nostre parti, ma che non ha mai portato grandi fortune nè interventi particolarmente felici, come testimonia la storia dell’area ex Cantoni, trascinatasi per anni, su cui sono cadute giunte comunali, girate mazzette, arrivate le indagini di tangentopoli con arresti eccellenti, e di cui si è mantenuto solo un simulacro che ai più giovani non suscita alcun stupore e agli anziani manda scintille di rabbia negli occhi.
Eppure qualcosa è destinato a cambiare e riguarda proprio l’ultima ciminiera della nostra città. O, meglio, l’intera area dell’ex Manifattura legnanese, che si trova in centro città, a circa trecento metri da piazza San Magno, in un lotto compreso tra le vie Lega, Palestro, Alberto da Giussano e Saule Banfi. A inizio agosto, infatti, il sindaco Alberto Centinaio ha inviato al Ministero dei Beni e delle Attività culturali una richiesta affinché sia emesso un decreto di vincolo del complesso o di singoli fabbricati della ex Manifattura Legnanese. E pochi giorni fa è arrivata una prima risposta dal segretariato regionale per la Lombardia dello stesso Ministero, che definisce l’istanza «in linea di massima condivisibile» e invita l’Amministrazione a fornire ulteriore documentazione per potere arrivare, entro centoventi giorni, ad una decisione definitiva. Se l’iter andrà in porto, sarebbe una vera novità per la nostra città, che se in passato era caratterizzata da numerosissime aziende di grandi dimensioni poste nel centro storico, nel corso del tempo ha potuto solo assistere allaloro demolizione per fare spazio a nuovi complessi architettonici destinati a residenza, terziario o verde pubblico. «Con il vincolo richiesto, ovviamente non saranno preclusi eventuali interventi di recupero in grado di far rivivere la storica fabbrica, ma soltanto se compatibili con lo status di interesse culturale», fanno notare dal Comune.
E la sola esistenza di quelle mura è allo stesso tempo storia e cultura, con il grosso degli edifici costruiti all’inizio del Novecento e vestigia ancor più antiche inglobate nella fabbrica, come l’ex Palazzo Cambiaghi, risalente al Seicento ed estensione di un precedente edificio del ‘400, quando era utilizzato come filanda per la coltivazione dei bachi da seta.
di Marino Pessina