
"Mi ero salvato dalla prima ondata, ne avevo curati e gestiti 1.281, pensavo di essere immune e invece eccomi qui". Primario internista "ricoverato nel reparto che dirigo, ormai reparto Covid" ancora una volta, così com’era stato "per tutto il periodo di emergenza da marzo a maggio". Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell’Asst Ovest Milanese, descrive l’esperienza che “per la legge del contrappasso” sta vivendo mentre il coronavirus è tornato a colpire duro: la testimonianza di un medico che un mattino si sveglia malato. Da camice a pigiama, diagnosi di polmonite da Sars-CoV-2.
Mazzone, classe 1956, messinese con studi a Pavia, del “Civile“ di Legnano è un pilastro. La “vecchia guardia“ di un ospedaleche in tante specialità ha contribuito a scrivere la storia della medicina. Ciclone di energia positiva, spiazza chi lo conosce raccontandosi con un filo di voce dal suo "letto con la finestra che fa intravedere il Pronto soccorso, la coda delle ambulanze e tante persone malate sicuramente più di me. Sono sfebbrato e sto meglio", rassicura. Le cure funzionano perché adesso, rispetto a marzo, tante cose sul nemico invisibile sono state capite. Malato ti ci scopri all’improvviso. "Il tampone l’avevo fatto quattro giorni prima ed era negativo. Lo facevo sempre per non rischiare di trasmettere l’infezione alle persone più care – spiega Mazzone – però a un medico “di quelli di una volta” come me basta un attimo: la febbre, la tosse, e quando dopo una notte così ti svegli, fai colazione e lo yogurt ti sembra calce, capisci che è arrivato. Chiamo il mio amico Paolo Viganò, primario infettivologo, e gli dico: “Stavolta ci siamo“. Lui mi risponde: “Su, l’hai fatto quattro giorni fa ed era negativo“. Io a mia volta gli rispondo che per noi clinici di vecchio stampo i sintomi sono più importanti della tecnologia. Mi sorride, faccio il tampone ed eccomi qui. Ricoverato a fare il paziente".
Mazzone si abbandona a considerazioni anche più dure, per così dire, dal suo letto di paziente. "I medici “al fronte“ nella guerra al coronaviurs sono come giocatori su un campo di calcio. Abbiamo bisogno dei centravanti che fanno gol e che sono gli intensivisti. Servono i portieri che parano anche i rigori e sono gli infettivologi e gli pneumologi. Ma per vincere ci vuole la squadra, compresi i mediani che siamo noi internisti".
Camici bianchi “dimenticati“ dalle cronache, anche se "otto ricoverati di Covid su dieci vengono accolti nei nostri reparti. Ma lo sapete dove sono i malati? Si parla sempre e solo di Terapie intensive, e va bene. Ma lì arriva meno del 10 per cento dei pazienti: l’ottanta per cento è qui, nelle Medicine interne".