Delitto Perini: "Si trovi chi ha ucciso mio figlio"

Lo sfogo di mamma Ebe: "Nomadi irreperibili? Si può sapere dove sono". Il giallo della telefonata

Ebe Pagliari mostra la foto del figlio, Marco Perini

Ebe Pagliari mostra la foto del figlio, Marco Perini

Abbiategrasso (Milano) - «Sono stati i nomadi, ma sono irreperibili e quindi non possiamo fare niente». Questa frase che ha portato all’archiviazione del caso Perini non è mai andata giù alla mamma Ebe Pagliari. «Come è possibile che siano irreperibili – si chiede la donna – possono benissimo sapere dove sono in qualsiasi momento». L’agricoltore abbiatense Marco Perini venne ucciso da ignoti nel mese di maggio del 2000 e, dopo anni di sospetti ed errori, ha subito una clamorosa svolta in seguito alle dichiarazioni di una donna nomade che, all’epoca, viveva nell’accampamento Rom di Abbiategrasso, al confine con Ozzero. Dichiarazioni che hanno portato gli inquirenti a ritenere responsabili di quel feroce delitto tre uomini di etnia rom, uno deceduto nel corso degli anni. Dove sarebbero questi uomini resta però un mistero.

L’ultima localizzazione porta al campo Rom di via Piccirilli, località Settebagni in provincia di Roma. Ma si sospetta anche che oggi si trovino in Francia. «Non ho intenzione di rilasciare alcuna dichiarazione su quel fatto – ha risposto la donna nomade che abbiamo contattato telefonicamente – mi chiedo come avete fatto ad avere il mio numero». Ed è proprio questa telefonata che ha fatto riflettere Ebe Pagliari: «Sono sicura che quella donna non abbia detto tutto quello che sa. Non è nascosta, anzi. È facile chiamarla e sicuramente è facile anche riuscire a trovarla». Le indagini sono state affidate a un reparto specializzato dei carabinieri dotato di esperienza e tecnologie avanzate. Nulla viene lasciato al caso. Sicuramente gli inquirenti stanno lavorando nel silenzio all’insaputa della mamma dell’agricoltore. Una donna che ha dedicato la sua vita alla scoperta della verità per il figlio

«Se i nomadi hanno commesso quel delitto, lo hanno fatto su mandato di qualcuno», ha aggiunto convinta. La donna nomade grazie alla quale si è arrivati a una svolta clamorosa vivrebbe proprio nella zona di Roma, forse nello stesso insediamento nel quale vennero identificati tempo fa i due sospetti. Resta però un dubbio. Se gli inquirenti sono certi della colpevolezza di quei due uomini, originari della Bosnia Erzegovina e della ex Jugoslavia, perché non avviare un processo e chiamare la donna a testimoniare in aula? Probabilmente mancano dei tasselli per ricostruire tutto il quadro e il rischio di non superare lo scoglio del rinvio a giudizio oggi è più che concreto.