Cerro Maggiore, sorelle Agrati morte nel rogo. Dopo 7 anni ultima parola alla Cassazione

Il caso approda all'ultimo grado di giudizio. L'unico imputato è Giuseppe, fratello di Carla e Maria, condannato in Appello a 25 anni

La casa devastata dall’incendio in cui sono morte le sorelle Agrati

La casa devastata dall’incendio in cui sono morte le sorelle Agrati

Cerro Maggiore - Sarà la Corte di Cassazione a dire l’ultima parola sulla morte delle sorelle Agrati. L’appuntamento è ora fissato per il 28 aprile prossimo quando i giudici decideranno sulla condanna a 25 anni dopo la sentenza di appello che di fatto aveva deciso di escludere l’aggravante della premeditazione che era stata riconosciuta in primo grado, quando Agrati fu condannato all’ergastolo. In appello furono concesse le attenuanti generiche. Giuseppe Agrati, unico imputato per la morte delle sorelle Carla e Maria, perite nel devastante incendio divampato a Cerro Maggiore tra il 12 e il 13 aprile 2015 nella loro abitazione di via Roma 33, si è sempre dichiarato innocente.

La sua difesa aveva aperto una serie di dubbi proprio in base alla decisione della Corte di appello che per il duplice omicidio aveva escluso la premeditazione. Come avrebbe potuto Agrati senza premeditazione, organizzare un piano così complesso, innescando incendi nella casa per uccidere le due sorelle? Una vicenda, quella del rogo di via Roma, che si trascina da 7 anni nelle aule dei diversi tribunali con diversi colpi di scena, fra perizie e revoche. Secondo le perizie Giuseppe Agrati era capace di intendere e di volere la notte dell’incendio. Secondo il tribunale il rogo non fu accidentale, ma innescato dallo stesso uomo che ha sempre ribadito la sua innocenza.

L’uomo è in carcere a Busto Arsizio dal 2019. Prima era solo indagato e ancora prima gli investigatori avevano ritenuto non avesse alcuna responsabilità nella morte delle sorelle, tanto che secondo la Procura di Busto Arsizio non erano emersi indizi di colpevolezza tali da portare alla richiesta di rinvio a giudizio. Poi entrò in gioco la Procura Generale di Milano, avocando a sè il fascicolo dopo l’opposizione di un nipote. Quindi il rinvio a giudizio dell’uomo. Poi il primo grado di giudizio con Giuseppe condannato all’ergastolo. Poi i 25 anni di condanna in appello. E spetta alla Cassazione l’ultima parola.