"Mi puntò una pistola in bocca": il racconto di una vittima del boss

Lecco, la testimonainza da brividi di una vittima del mobiliere-usuraio Cosimo Vallelonga che faceva minacciare chi non pagava

Le intercettazioni

Le intercettazioni

Lecco, 11 febbraio 2021 - "No, che garanzia, non c’è problema, vado là e gli dico di guardare questi, tra due giorni sono questi, ci hanno offerto questo... basta chiuso". Per molti imprenditori brianzoli con l’acqua alla gola compare Cosimo Vallelonga era meglio di una banca: il mobiliere di Valletta Brianza non chiedeva fidejussioni né assicurazioni, non pretendeva garanti, non aveva bisogno di cambiali. In poche ore era in grado di prestare sull’unghia 150mila euro, mezzo milione, anche 700mila euro. Peccato che poi quei soldi li rivolesse con interessi fino al 40% al mese. E per chi non pagava erano guai."Fate quello che dovete...", ordinava il boss 72enne arrestato di nuovo dagli agenti della Mobile di Lecco e dai militari della Finanza nell’ambito della maxi operazione antimafia “Cardine–Metal money” per smantellare i suoi affari milionari in traffico di rifiuti, società cartiere e usura.

E "quello che dovete" per il suo "esattore" di fiducia Stefano Valsecchi, 60enne di Calolziocorte, latitante, significava anche sparare con una calibro 6.35 Browning: "L’ho sfiorato, gli ho sparato solo ad un dito, ho preso quello a sinistra, ho sparato giù e c’era il piede". E se i soldi non tornano scattavano i "pignoramenti", come di una Jeep Grand Cherokee, senza notifiche naturalmente. 

Ma a qualcuno dei debitori è andata peggio: una vittima ha raccontato agli investigatori di essere stato sequestrato, incappucciato, trascinato in un capannone vuoto di Casatenovo e accomodato su una sedia davanti al mammasantissima: "Ha preso una pistola con silenziatore avvolta in uno straccio da sotto il sedile di un muletto e me l’ha puntata in bocca...", come nelle scene dei film sulla mafia, solo che non si trattava di un film. I soldi a fiumi da prestare e poi incassare decuplicati, arrivavano dal traffico di rottami di ferro e da decine di imprese nel Lecchese, ma anche Milano, Bergamo e Torino, su cui Cosimo e gli altri avevano messo le mani: "Erano ditte in fallimento e siamo subentrati noi che le abbiamo capitalizzate... in un’azienda c’erano dei ragazzini insomma, è successo un problema e io glielo avevo sistemato perché noi avevamo fatto addirittura un acquisto di ramo d’azienda, siamo subentrati". Il cerchio perfetto dunque: traffici illeciti che generavano soldi da investire in altri traffici illeciti o in società cartiere in cui magari piazzare gli uomini di fiducia e gli amici degli amici come al collocamento o in usura, senza pagare le tasse, perché gli incassi in nero mica si potevano dichiarare. "Noi tramutiamo la carta in contante", è la sintesi di quello che Cosimo era in grado di fare, come una sorta di re Mida del malaffare.