"Se serve la galera, la faccio". E Vallelonga è finito in carcere

Lecco, dal mobilificio di famiglia teneva contatti con gli altri boss e gestiva rame e rifiuti. Mafia, estorsione, usura, sequestro di persona tra le accuse contestate a "compare Cosimo"

Un frame del video diffuso dalla Finanza

Un frame del video diffuso dalla Finanza

Lecco, 10 febbraio 2021 - «Vorrei non fare più la galera, ma se serve la faccio». E a 72 anni compiuti Cosimo Damiano Vallelonga la galera la sta facendo di nuovo. Dopo essere stato arrestato nel 1994 nella maxi inchiesta «I fiori della notte di San Vito», nel 2006 nella retata di «Oversize» e nel 2010 nel blitz di «Crimine», ieri mattina gli agenti della Mobile del vicequestore aggiunto Danilo Di Laura hanno fatto scattare ancora le manette attorno ai polsi di chi sembra sia il vero erede del capo dei capi della ‘ndrangheta lecchese Franco Coco Trovato, che a 73 d’età sta scontando ormai dal ‘92 diversi ergastoli al 41 bis. Cosimo Vallelonga del resto uno dei suoiuomini di fiducia. Le accuse per lui sono di associazione mafiosa, sequestro di persona, estorsione, usura, riciclaggio, esercizio abusivo del credito e molte altre ancora. 

La sua base operativa sarebbe stato il mobilificio «di famiglia» Arredomania di Perego della Valletta Brianza, dove abita. Lì «compare Cosimo» avrebbe ricevuto e spedito «ambasciate» per mantenere contatti con gli altri boss della Lombardia e delle cosche di Gioiosa Ionica che siedono ai tavoli di comando del crimine provinciale calabrese e da lì avrebbe gestito un giro di 10mila tonnellate di rottami e rame anche radioattivo da 30 milioni di euro. Quello sarebbe stato pure il suo ufficio per prestare fino a 500mila euro cash a imprenditori in difficoltà, salvo pretenderne la restituzione con interessi da cravattari, pena rapimenti e minacce con pistola in bocca, «perché sennò vi faccio come facciamo in Calabria», e «ho pronta la borsa dei ferri». Nel mobilificio inoltre aveva nascosto un vero e proprio tesoro in opere d’arte, trovate in un’intercapedine di un muro dai poliziotti della scientifica arrivati apposta da Roma per effettuare una perquisizione con termoscanner e altre sofisticate attrezzature per individuare il caveau segreto. Nelle carte dell’ennesima indagine antimafia che ha travolto i picciotti del malaffare lecchese sono scritti però i nomi e i cognomi di altri esponenti di spicco della criminalità organizzata. C’è ad esempio Danilo Monti, di 30 anni di Valmadrera, condannato per aver freddato nel 2015 un macellaio 35enne bel Catanzarese.

Oppure Vincenzo Marchio di 37 anni, «figlio d’arte» di Pierino dello locale di Calolzio anche lui arrestato durante «Oversize» di cui è estremamente fiero: «Hai mai sentito parlare di noi, la gente ci descrive come fossimo dei mostri, delle persone senza scrupoli, come se ammazzassimo la gente a caso, ma non è vero, è che sappiamo farlo quando serve... io so essere cattivo quando serve». E ancora: Benedetto Parisi di 50 anni di Mandello figlio del 76enne Santo di Olginate, cognato e suocero di Salvatore De Fazio, il padre di famiglia freddato in strada a 46 anni lo scorso dicembre. In «galera» sono finiti pure Luciano Mannarino di 31 anni di Brivio, Alessandro Malacorda di di 35 di Calolziocorte, Vincenzo Pace di 32 anche lui di Calolziocorte, Claudio Gentile di 37 anni, Fabrizio Motta di 44 di Carenno e Paolo Valsecchi di 60 sempre di Calolzio. Sono invece ai domicialiari, oltre a Santo Parisi, Claudio Ferrari di 47 anni di Brivio, Jennifer Buonavoglia di 36 anni, Claudio Bissola di 38, Roberto Novelli di 51 e Marco Ricci di 58 della Bergamasca, Vincenzo Geroldi di 46 anni della provincia di Brescia e Michele Leone di 35 della provincia di Monza. E negli atti ricompare pure il 65enne Angelo Sirianni, sebbene non indagato, pure lui finito nell’inchiesta «Oversize. «A 70 anni non vorrei più fare la galera – diceva compare Cosimo – ma se serve la faccio»: è stato accontentato.