FEDERICO MAGNI
Cronaca

L’alpinista delle solitarie. Dieci anni senza Anghileri

Il 14 marzo 2014 l’incidente mentre scalava il Pilone Centrale del Freney. La fotocamera restituì le immagini del suo sorriso mentre affrontava l’ultima via. .

A dieci anni dalla scomparsa sul Monte Bianco il ricordo di Marco “Butch“ Anghileri vive ancora nelle sue salite. Era uno scalatore insolito nell’ambiente alpinistico lecchese: libero, spesso solitario, affascinato dalle grandi pareti delle Alpi così come amava giocare sulle sue montagne, le Grigne. Basta scorrere il suo curriculum per stupirsi ogni volta: prima ripetizione invernale solitaria della “Aste“ in Civetta, in quattro giorni, prima ripetizione e invernale della “Via Sonia“ alle Pale di San Lucano in quattro giorni, prima ripetizione solitaria e invernale della “Via Olimpo“ in Marmolada in tre giorni, prima ripetizione solitaria e invernale della “Via Casarotto“ alla Cima della Busazza in Civetta in tre giorni, prima ripetizione solitaria e invernale della “Via Casarotto“ alla Quarta Pala di San Lucano in due giorni. Nel 2000 il capolavoro: la prima solitaria invernale della “Via Solleder“ sul Civetta in cinque giorni. Il 13 marzo 2014 Marco aveva preparato l’immenso saccone con i materiali per autoassicurarsi e aveva confidato solo a pochissimi amici il suo ambizioso progetto: la "Jori Bardill" sul Pilone Centrale del Freney sul Monte Bianco. Da solo e in inverno. Aveva pernottato al Rifugio Monzino, poi era salito all’Eccles e aveva attaccato il Pilone. Volò via a pochi metri dal successo, quando stava ancora scalando gli ultimissimi tiri della “Chandelle“. Il padre Aldo lo attendeva a Chamonix, ma il suo corpo fu recuperato il 17 marzo alla base del Pilone. Anghileri indossava ancora le scarpette d’arrampicata e la macchina fotografica, trovata nello zaino, custodiva le immagini del suo sorriso durante la scalata. Per Lecco fu un choc, proprio mentre qualcuno già celebrava l’impresa. Aveva 41 anni, e Marco lasciava la moglie e due figli. Faceva parte del gruppo Gamma. Il suo funerale nella Basilica di San Nicolò fu la cerimonia di addio che si riserva solo ai grandi della montagna quelli che hanno fatto la storia. "Quando ho bisogno di respirare, di assaporare la montagna, vado in Grignetta. Su queste pareti è stata scritta la storia dell’arrampicata, da Boga a Mauri, Cassin e Bonatti. Ma c’è ancora terreno di avventura - amava raccontare - Riesco sempre a trovare qualche angolo nascosto perché qui sopra c’è un mondo, un microcosmo. Non mi stanco mai. Le solitarie ormai fanno parte di me. È come il richiamo della foresta".