Editoriale

Chi non ha paura del Ramadan

Lo Stato italiano è laico. La scuola italiana pure. In base a questo principio ci si potrebbe anche lamentare della decisione dell’ormai famosa scuola di Pioltello “Iqbal Masih” – nome del bambino operaio pachistano simbolo della lotta contro il lavoro infantile – di sospendere le lezioni per consentire agli studenti islamici di festeggiare la fine del Ramadan. Ma – ed è un “ma” piuttosto rilevante – le scuole chiudono anche a Natale, a Pasqua e per il santo patrono di turno. Cosa facciamo, dunque, riapriamo le scuole durante le festività cristiane?

Il motivo per cui un anno fa il consiglio dell’istituto “Iqbal Masih” ha deciso di sospendere le lezioni – cosa che peraltro la legge permette di fare – è che i giovani musulmani, pari al 40 per cento degli alunni, non andavano a scuola e quindi restavano indietro con le lezioni. Un motivo, insomma, eminentemente didattico. La preside e gli insegnanti erano d’accordo, gli studenti erano d’accordo, i genitori pure. Persino la cattolicissima Diocesi di Milano ha approvato la scelta. Chi oggi contesta quella decisione sembra essere spaventato da un cambiamento culturale che non è di là da venire, ma è già avvenuto. Ci si può rifiutare di accettarlo, ma a farne le spese saranno loro: gli alunni.

Alla fine, delle migliaia di parole dette in questi giorni da ministri, sottosegretari, governatori, commentatori e politici, le più sagge le ha pronunciate il padre di uno degli studenti italiani di Pioltello. “La mia radice culturale è cristiana – ha detto – ma saremmo miopi se chiudessimo gli occhi di fronte a una società che sta evolvendo. La didattica si fa nel confronto e la parole migliori credo siano rispetto e reciprocità”. Agire con rispetto e reciprocità, quello sì, sarebbe un bel cambiamento culturale.