La nostra età, il nostro genere, i nostri gusti, il luogo in cui risiediamo, le nostre passioni, gli hobby e le serie preferite. I nostri dati, insomma, in rete valgono molto, moltissimo. E quando sul web clicchiamo su “accetta tutto” per pigrizia, non ci rendiamo conto di cosa stiamo facendo: stiamo cedendo gratis il nostro profilo di consumatore a qualcuno che, sommando centinaia di migliaia di profili, ci farà i soldi. Quando crediamo di fruire di un servizio (per esempio un social network) senza versare un euro, di fatto stiamo pagando con le informazioni su di noi, sulla nostra vita. Per capire ancora meglio questo meccanismo, basta vedere il contenuto dell’indagine per evasione fiscale appena chiusa dalla Procura di Milano su Meta, ex Facebook: in sostanza l'Iva non versata (oltre 800 milioni di euro) riguarda l'iscrizione degli utenti sulle piattaforme social. Iscrizioni che avvengono gratuitamente, ma con l'utente che in realtà paga una sorta di 'fee', perché mette a disposizione i propri dati personali e con tanto di potenziale profilazione di quei dati. Ed è proprio attraverso questo scambio, formalmente gratuito, che Meta può trarre comunque un profitto vendendo spazi pubblicitari con campagne milionarie a noi che “accettiamo tutto”.
Editoriale e CommentoQuanto valgono i nostri dati?