Giovanna Pedretti e i 6 minuti di telefonata del blogger giustiziere: la “verità” dei social e la sofferenza vera

La piccola ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano finita al centro delle polemiche: prima elogiata come un esempio poi demolita senza pietà

I fatti. Una donna è morta. Il suo corpo era nel Lambro. L'ipotesi privilegiata è il suicidio. Non ha lasciato - che si sappia - alcun messaggio. Non aveva problemi economici. Se avesse altre motivazioni lo dovrà accertare, se ci riuscirà, l'indagine penale che è stata inevitabilmente aperta.

Giovanna era una ristoratrice. Lavorava a Sant'Angelo Lodigiano, che per i grandi protagonisti del mondo dei social è pura periferia. Ritaglio di mondo, non luogo. Un posto dove le mode arrivano, non nascono. Un castello, un campanile alto. Un'ansa del fiume che curva attorno alla città. Un pezzo di pianura fra Milano e il Po.

Giovanna era diventata una notizia il giorno in cui aveva deciso di rispondere a tono a una recensione, che alcuni hanno pur legittimamente giudicato di dubbia autenticità, di un cliente che si lamentava della presenza di omossessuali e un disabile nel locale.

L'avviso sulla saracinesca della pizzeria Le Vignole. A destra, Giovanna Pedretti
L'avviso sulla saracinesca della pizzeria Le Vignole. A destra, Giovanna Pedretti

I giornali ne hanno scritto. E Giovanna è diventata una storia, un volto. Un sistema per fare contatti. Senza che sia per forza un male. È il normale funzionamento dell'informazione. Fuori dalla ristretta rete locale delle cronache di provincia, ha bucato schermo e pagine. Un caso nazionale. Una bella vicenda da portare ad esempio.

La vetrina della carta stampata è diventata quella dei siti dei giornali. Si è visto che i numeri dei contatti erano positivi. E come sempre accade quando una notizia funziona, altri seguono. La approfondiscono. E la mettono alla prova, perché se la bella storia è un format, lo è anche quello di distruggerla. Internet si è accorta di Giovanna e sotto i suoi piedi si è aperta la voragine dei social

Quello dei social è un ecosistema, una catena alimentare. Tutto - lo sappiamo - è esibizione di sé, rappresentazione di sé. Lo fanno i grandi animali e i piccoli pesci. I potenti e ricchi, ma anche io e voi, consapevoli o meno. Sui social ci sono gli erbivori e i carnivori, che vivono divorando i più deboli che non tengono il passo. Erbivori grossi e di taglia infima.

È successo anche ai grandi come Chiara Ferragni. Un colosso di imponibile e follower che è inciampata malamente in un pandoro ma ha consulenti, avvocati e soldi per resistere, raccontarsi, riprendersi, tenere testa ai magistrati e ai custodi dell'ortodossia che si sono insediati sul web.

Sì, perché una nuova specie di giustiziere è nata e vigila sulla verità, dando la caccia a veri o presunti truffatori. Dalla tivù dei Funari, ai Gabibbi, la moda nei decenni è approdata ai giornali, che però se lo fanno è solo per politica e contro obiettivi di taglia adatta, e alla fine a Internet. Funziona, crea emozione, consenso, indignazione. E come tutto ciò che funziona, fa soldi. Attrae investimenti. Fa carriere.

Il meccanismo si è scatenato anche questa volta, magari anche meno virulento che in altri casi. Ma Giovanna, 59 anni, 30 di lavoro, un marito e una figlia, ammesso e non concesso che abbia maldestramente tentato di giocare col fuoco dei social, non è, non era Chiara Ferragni. Non registrava video contriti in un appartamento da 400 metri quadrati a Citylife, non era un post virale. Era una qualunque, come me e voi.

E oggi è un corpo nel Lambro. Morte vera, disperazione quotidiana. Ordinaria cronaca nera da giornale di provincia. Il circo forse l'ha spazzata via. Forse è morta per altri motivi, forse era fragile. Non ci riguarda.

Di sicuro finché la blogger, che scrive bene e trova i giusti punti di appoggio per ritagliarsi un posto in un mare di barracuda, assalta il fortino della maxi influencer lo scontro è fra pari. Giganti contro giganti. Roba loro. Spettacolo, format. Non vita vera. O vita vera alterata da soldi, comunicazione, apparenza. Noi assistiamo. Chi indifferente, chi maliziosamente attendendo la caduta del personaggio che non ama.

Un’arena, con gli spettatori sugli spalti che nel proprio piccolo s'atteggiano a eroi della porta accanto, e i protagonisti a lottare, veramente o per finta. Ma mai era capitato finora che i gladiatori lasciassero l'ellisse ricoperto di sabbia per menare fendenti in mezzo al pubblico.

Quando il cuoco della Clerici, fidanzato della blogger, telefona per sei minuti di conversazione a Sant'Angelo, con la missione di "ristabilire la verità", come fosse incaricato dal destino, di una missione salvifica che un'entità superiore ha affidato alle sue solide spalle. Quando si compiace di vedere un po’ di sano giornalismo d'inchiesta fra le pentole borbottanti di polenta, le piastrelle rosate e le tovaglie avorio di una trattoria di provincia, qualcosa davvero cambia. Radicalmente.

Se anche quella signora dopo trent'anni di lavoro avesse sbagliato qualcosa, avesse provato a servirsi di Internet come regolarmente fanno i veri professionisti, ma in modo maldestro, davvero sarebbe stato necessario il giustiziere?

Ora Giovanna è morta. Forse la tempesta mediatica, che per qualcuno abituato alle arene può sembrare un modesto scroscio durato due o tre giorni, non ha nulla a che vedere con quel corpo affiorato a pelo d'acqua. Con questa storia di noi giornalai di provincia. Forse era una storia di problemi personali che meritano un doloroso rispetto, un poco di distacco.

Ma se anche fosse così, un altro diaframma si è rotto. Un altro passo di inciviltà si è compiuto. Mi domando sinceramente: ne valeva la pena?