La fiducia tradita

Il richiamo più forte lo ha fatto Sergio Mattarella: "Non dobbiamo mai smettere di chiederci cosa possiamo fare di più per aprire le porte ai giovani e sottrarli al rischio di marginalità"

Milano, 3 dicembre 2017 - Il richiamo più forte lo ha fatto Sergio Mattarella: «Non dobbiamo mai smettere di chiederci cosa possiamo fare di più per aprire le porte ai giovani e sottrarli al rischio di marginalità». Poi è sceso in campo il Governo: le risorse per il lavoro dei giovani sono al primo punto della nuova legge di bilancio. Con le elezioni politiche alle porte tutti, improvvisamente, si ricordano dei giovani. Però misure per favorire le assunzioni non ci sono e la politica non dà certo il buon esempio. Tra i nomi che girano in vista delle politiche mancano proprio quelli dei giovani. E che percorso c’è per chi volesse candidarsi? Nessuno. Se la politica usa i giovani solo per lusingarli nell’anno preelettorale, salvo poi dimenticarsi di loro nella sostanza, difficile che la situazione cambi. Quello che emerge, ancora una volta, è l’ipocrisia della politica, e il peso della gerontocrazia che affligge il Paese. La questione giovanile è un fatto culturale. Ed è da qui che si dovrebbe partire

Innanzitutto perfezionando e ammodernando i percorsi scolastici, per favorire così un rapido accesso dei giovani al mercato del lavoro. All’estero, in Paesi anche vicini a noi, c’è un legame stretto tra la scuola e i tirocini. Specie, poi, se dal mondo delle scuole superiori si passa al livello delle Università. Urgente anche una defiscalizzazione delle assunzioni di giovani e neolaureati. In politica, invece, auspicabile l’introduzione del limite dei mandati. Sarebbe bene evitare di essere candidabili per più di due volte. Irrinunciabile, poi, la messa a punto di un meccanismo per la selezione dei candidati e dei curricula anche per posti di sottogoverno (società partecipate incluse) oggi appannaggio quasi esclusivo di riciclati e dinosauri della politica. Tante le cose che si possono fare concretamente.

La svolta promessa, al momento, sa tanto di demagogia. C’è una generazione che ha pagato davvero, a partire dal 2008, il costo della crisi. L’ha detto anche il Capo dello Stato, l’altro giorno: «Sono i nostri giovani ad averne pagato in misura maggiore il prezzo». Più che le parole, dunque, servono interventi strutturali, almeno se si vuole davvero invertire la tendenza. Non siamo mai stati convinti che il dato puramente anagrafico dovesse diventare un criterio di giudizio sociale. Tuttavia in una situazione emergenziale come quella attuale, in cui le nuove generazioni fanno davvero fatica a trovare nel nostro paese concrete opportunità di realizzazione, riteniamo si debbano varare incisive strategie di rilancio nell’universo giovani. Non è una questione di categorie o di principio: non è piu tollerabile che laureati a pieni voti, o addirittura con master e business school alle spalle, siano costretti ad andare all’estero per vedere riconosciuti i loro sforzi.

sandro.neri@ilgiorno.net