Editoriale

Siamo noi i veri “portoghesi”

Più che "portoghesi" dovremmo chiamarli "italiani". È da secoli che si usa l'aggettivo che definisce un nativo del Portogallo come sinonimo per chi, grazie a favoritismi o con sotterfugi, riesce ad assistere a uno spettacolo o a usufruire di un servizio senza pagare il biglietto, tanto da finire anche sull’enciclopedia Treccani. Un'espressione che nasce nella Roma del '700, in occasione di una grande festa organizzata dall’ambasciata portoghese presso la Santa Sede. L’ambasciatore fece sapere a tutti i connazionali che avrebbero potuto partecipare semplicemente presentandosi come portoghesi. Alla fine, quella sera, a Roma erano magicamente diventati tutti lusitani pur di partecipare, rigorosamente senza invito, al grande evento.

Il termine negli anni è poi entrato sempre di più nel quotidiano, fino al punto che, per riferirsi a chi non paga il biglietto per i mezzi, si dice quasi sempre "portoghese". Ed è proprio per combattere questi "portoghesi" che Atm ha pensato ai nuovi super-varchi che dovrebbero impedire il “salto del tornello” e far pagare il biglietto. Obiettivo probabilmente fallito: sta circolando in questi giorni il video di un ragazzo che passa le barriere dietro a una signora senza obliterare il biglietto (che dunque presumiamo non avesse).

Facendo un giro per le metropolitane nel resto d’Europa si nota come solo in Italia ci sia bisogno di alzare un “muro” di 2,5 metri per costringerci a pagare il biglietto. In Germania, per esempio, l’accesso alle banchine dei treni del metrò è libero. Il motivo è solo uno: il rispetto delle regole è parte della loro cultura. Altrettanto, purtroppo, non si può dire di noi: oggi, come nella Roma del '700, alla fine, cercare la strada più comoda o il sotterfugio è una brutta abitudine tutta italiana. Lasciamo stare i poveri portoghesi.