Un gioco che di educativo non ha più nulla. I campi di calcio della provincia lombarda sembrano essere la sintesi perfetta dei veleni e della violenza (vedi gli scontri selvaggi sui Navigli) che in questi giorni hanno fatto finire in secondo piano il pallone e i suoi protagonisti. I dati delle ultime settimane mostrano Lombardia e Campania condividere un triste primato: sono le regioni più multate per gli insulti agli arbitri. Che in campo ci siano ragazzini degli Allievi o adulti dalla Serie D alla A poco cambia: gli insulti (spesso accompagnati da minacce e botte) sono il fil rouge che unisce il dilettantismo al professionismo. E la cosa più grave è che nella maggior parte dei casi a proferire ingiurie contro il malcapitato direttore di gara sono i genitori dei giovani giocatori, incarnando il perfetto esempio di un modello negativo. In più, oltre al danno economico (le multe, anche se con cifre non esagerate, incidono pesantemente sul bilancio di società dilettantistiche che in molti casi faticano ad arrivare a fine stagione), si tratta di comportamenti ben lontani dai valori che lo sport dovrebbe trasmettere. E se le nuove generazioni non amano più il calcio, forse, le ragioni dietro a questo allontanamento non andrebbero cercate nelle regole del gioco, ma nelle costanti di ogni partita: gli insulti e la violenza.
Editoriale e CommentoIl calcio degli insulti e della violenza
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