Bellagio (Como), 30 settembre 2024 – A basse quote non nevica più ma sulle montagne lombarde si investono milioni di euro per realizzare nuovi impianti di risalita. Negli anni 80 per i bambini dell’Alta Brianza era normale imparare ad affrontare i primi slalom sui pendii del Pian del Tivano.
Una volta alla settimana, per tutto l’inverno, il pullman dello sci club che partiva dal centro di Erba li portava nella località sciistica del Triangolo Lariano, poco oltre la Colma di Sormano. C’erano i maestri che li aspettavano sullo skilitf che risaliva un bel pendio (da 950 fino a 1.250 metri).
Il San Primo, poco più in alto, nel comune di Bellagio, era già la “Courmayeur” della Brianza con le sue abbondanti nevicate. In meno di 40 anni è cambiato tutto e su quel pendio rivolto a Nord negli ultimi anni si è vista solo qualche spolverata di neve, un paio di volte all’anno, ed è rimasto solo lo scheletro dell’ultimo pilone dell’impianto che si alza sulla dorsale verso la Valassina.
Un destino simile a quello di tante località sotto i duemila metri sparse qua e là sulle Prealpi lombarde. Fino agli anni Settanta erano in funzione skilift un po’ ovunque, oggi smantellati o ridotti a ruderi. Eppure, nonostante l’evidenza di inverni sempre più miti, si continuano a finanziare progetti milionari di rilancio di alcune stazioni sciistiche sotto i duemila metri.
Olimpiadi Milano-Cortina
Le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina potrebbero dare un’accelerata. “Un’industria ormai matura”, come ha spiegato in un documento proprio il Club alpino italiano. Succede ad esempio sul Monte San Primo, al centro del Triangolo Lariano dove il Comune di Bellagio e la Regione vogliono investire più di 5 milioni di euro la “riqualificazione” del comprensorio sotto i 1.600 metri. È prevista la creazione di una stazione sciistica, con annessi impianti di risalita con innevamento artificiale, piste e toboga e nuovi parcheggi.
Un’idea fortemente contestata da un coordinamento di 36 associazioni che chiede di bloccare il progetto: “Le stazioni sciistiche sotto i 2.000 metri sono un assoluto controsenso. A dirlo non siamo solo noi, ma gli scienziati e il Cai. La Regione è la stessa che a ha convocato un tavolo straordinario per la crisi idrica salvo poi buttare milioni su questa montagna dove negli ultimi anni non ha nemmeno nevicato”, spiega Roberto Fumagalli, del Circolo Ambiente Ilaria Alpi che coordina la mobilitazione delle associazioni. A ormai 2 anni dall’inizio della protesta il progetto non è stato modificato.
Valtellina
Succede in Valtellina, a Teglio, dove il comune vorrebbe rilanciare il comprensorio sciistico di Prato Valentino con un progetto da 12 milioni per una nuova seggiovia su un pendio completamente esposto al sole sotto i duemila metri.
Lecco
Succede ad Artavaggio, 1.650 metri di quota, in provincia di Lecco, dove sono in progetto una seggiovia nuova e un bacino per l’innevamento artificiale. Insieme al rinnovamento dei Piani di Bobbio è previsto un investimento da 13,5 milioni di euro. “Non è più tempo di nuovi impianti ad Artavaggio, è necessario ripensare il turismo invernale in chiave di sostenibilità”, spiegava Costanza Panella, presidente di Legambiente del Lario Orientale, durante una delle manifestazioni di protesta.
Bergamo
Accade anche nella Bergamasca con un mega-progetto addirittura di 50 milioni di euro (che potrebbero diventare 70) per collegare 50 chilometri di piste nel comprensorio sciistico Colere-Lizzola.
In quel caso è stato pensato addirittura un tunnel che dovrebbe attraversare il Pizzo di Petto unendo così le piste della Val di Scalve e la Val Seriana. Anche in questo caso le critiche non si sono fatte attendere.
Oltre a sottolineare come l’area interessata si trovi in una zona speciale di conservazione, “ambienti fragili da tutelare”, l’associazione “Orobievive“ afferma: “Considerando le condizioni climatiche sempre più incerte e la bassa quota della stazione sciistica, situata tra i 1.050 metri e i 2.250 metri di altitudine, la realizzazione di questi interventi è particolarmente impattante e obsoleta. C’è il rischio concreto che diventino rapidamente inutilizzati, lasciando alle spalle strutture abbandonate come già successo altrove”.
Secondo gli esperti non bisognerebbe più investire nell’industria dello sci a bassa quota: “Nelle zone alpine la stabilità e la durata del manto nevoso saranno sempre più compromesse almeno fino alla quota di 2000 metri – è la posizione del Cai attraverso un documento intitolato “Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci“ –. “Diversificazione” sembra perciò il concetto principale da applicare”.