
Nicola Mancino, rappresentante di Allianz Global Corporate & Specialty in Italia, le aziende italiane mettono i rischi informatici al primo posto davanti alla pandemia. Come va letto questo dato?
"Il cyber-risk è primo in Europa, quindi l’Italia è in linea con ciò che emerge nell’intero continente. Coloro che hanno risposto prendono in considerazione anche gli effetti dell’emergenza sanitaria sull’attività dell’azienda, compresi il lavoro a distanza, il maggiore utilizzo delle reti e di conseguenza un rischio informatico più elevato. In quest’ambito c’è ampio spazio per investimenti in sicurezza e formazione".
Vuol dire che non si tratta di un pericolo estraneo alla pandemia?
"No, tanto che ai primi tre posti troviamo quello che definiamo Covid-trio: rischi informatici, interruzione di attività e pandemia stessa".
Cosa dice del Paese questa classifica?
"Emerge un quadro molto chiaro dei rischi percepiti. Detto delle prime tre posizioni, alla quarta ci sono le catastrofi naturali perché siamo in un territorio esposto a calamità come i terremoti, le alluvioni e anche le eruzioni vulcaniche. All’ottavo posto troviamo un’altra nostra specificità, il danno reputazionale o d’immagine che l’anno scorso era al terzo: l’Italia è un Paese punta che molto sul concetto di brand. Infine, in decima posizione, ecco i blackout energetici che non compaiono né nella graduatoria europea, né in quella mondiale".
Quale può essere la spiegazione?
"C’è un legame con la transizione energetica che entrerà nel vivo nei prossimi anni. L’emergenza sanitaria ha contribuito a evidenziare quali possono essere i rischi legati a insufficienti investimenti in infrastrutture e sistemi di accumulo".
Torniamo ai rischi informatici: la percezione è alta anche perché non si ritiene sufficiente la capacità di protezione?
"Il primo fattore da considerare è l’aumento degli eventi, nel 2019 si sono registrati 500mila ransomware. Il cyber-crime è costato a livello mondiale un trilione di dollari, più dell’1% del Pil. Il rischio aumenta perché c’è più interconnessione, occorre dare una maggiore spinta agli investimenti in protezione e fare di più anche dal punto di vista della divulgazione e della formazione".
Tale scenario influisce sull’attività degli assicuratori?
"È in aumento la domanda di copertura. Ma la capacità finanziaria disponibile si sta riducendo anche perché il rischio aumenta. Per questo gli investimenti in protezione e formazione sono fondamentali".
Secondo Joachim Muller (Ceo di Agcs, ndr) dobbiamo essere pronti ad affrontare più frequenti scenari catastrofici estremi come ad esempio un’interruzione del cloud su scala globale o un attacco informatico. L’Italia avrebbe gli strumenti per difendersi da eventualità di questo tipo?
"I rischi sistemici, come la pandemia, generano ricadute sull’economia che non possono essere assorbiti da sistemi di protezione finanziaria. Si potrebbe pensare di farlo in futuro, ma occorrerebbe una collaborazione di ampio respiro tra pubblico e privato".
I cambiamenti climatici figurano ‘solo’ al settimo posto. È una sorpresa, se si considera che il tema è al centro dell’agenda europea?
"No, si tratta di un elemento di rischio percepito come stabile. I fattori legati all’emergenza sanitaria hanno preso il sopravvento, così si spiega la posizione in classifica più bassa rispetto allo scorso anno".
Guardando al futuro, quale evoluzione nella percezione dei rischi si può prevedere?
"L’Allianz risk barometer è al decimo anno. Ci sarà sempre un nucleo stabile, a partire dal cyber-risk, insieme a fattori legati alla contingenza. Ne è esempio la pandemia, che immagino resti tra i rischi più percepiti dalle aziende anche in futuro".
Giuseppe Catapano