
Tommaso Zanello, in arte Piotta, nel 1999 rese popolare il rap
Milano, 6 agosto 2017 - Quando «mi piace» e «condividi» avevano un significato diverso rispetto a un semplice «clic» sulla tastiera, Tommaso Zanello (per tutti Piotta) riuscì a fare delle sue rime un fenomeno contagioso. Era il 1999 e, per la prima volta, il rap divenne tormentone da spiaggia, spalancando le porte ai tanti colleghi. Nove album più tardi, Piotta è più attivo che mai: un nuovo disco in cantiere e un tour estivo che si concluderà a Milano.
Esiste una ricetta per un brano da super hit?
«La ricetta è non pensarci. Più ci pensi e meno ci sono possibilità di inventare quel ritornello penetrante che ogni hit parrebbe avere. Oltre a questo ci sono poi tantissime dinamiche discografiche, di natura assai più cinica e commerciale, che la fanno da padrone».
Ai tempi di «Supercafone» e «La grande onda» non c’erano social o altre scorciatoie. A cosa deve il suo successo?
«Alle idee, che poi è la cosa che conta di più. Vale per le hit immediate come queste, vale per quelle ‘diesel’ come ‘7 vizi Capitale’. Alcune canzoni arrivano subito, altre ci mettono un tempo molto più lungo, ma, alla fine arrivano comunque».
Reality e talent sono più un’opportunità o un limite per i giovani?
«Un limite per gli artisti veri, e per veri intendo quelli che creano da zero: che compongono e che scrivono. Per quelli che interpretano solo, sono un po’ meno limitanti, ma sono comunque ad alto fattore combustione. Hanno bruciato migliaia di voci, e sapete perché? Perché la logica tv prevede la figura del personaggio, della macchietta. La tv smitizza la musica, le leva tutta la sacralità e la dà in pasto a bocche fameliche da spaghetti, birra e rutto libero. E cito non a caso il Fantozzi del compianto Paolo Villaggio».
La colonna sonora della sua estate?
«Il mio nuovo album. Incidere un disco vuol dire ascoltarlo così tante volte che diventa la tua colonna sonora per mesi. A parte questo sto ascoltando molto il disco di Carl Brave e Franco 126, due artisti romani che mi piacciono molto, e i tanti vinili comprati a Toronto durante il recente mini tour canadese».
Sotto l’ombrellone un disco o un libro?
«Sembrerà strano ma io non amo la musica sotto l’ombrellone, anzi, a dirla tutta non amo nemmeno gli ombrelloni. Adoro sì il mare, ma nella sua accezione più selvaggia: un telo, l’acqua, il rumore del vento, parole di un libro su cui fantasticare».
Quali progetti in cantiere?
«L’album e il tour estivo. Sono più di trenta le date che hanno attraversato anche la Lombardia. Il tour si concluderà il 22 settembre a Milano all’Arci Ohibò, una città che amo molto visto che è quella di mia madre. Vi aspetto con tutta la band per quella miscela di rap e rock che contraddistingue gli ultimi album, da ‘Odio gli Indifferenti’ a ‘Nemici’».