
Paolo Rossi sarà al Menotti
Milano, 19 ottobre 2016 - Se ne è andato troppo presto Gianmaria Testa. Si ha sempre quella sensazione con i poeti. Un saluto schivo, lo scorso marzo. Come schivo è sempre stato questo ex-capostazione piemontese, cantautore unico, scoperto e amatissimo dai francesi. La sua strada si è spesso incrociata col teatro. E spesso con quella di Paolo Rossi (Pinocchio, Molière). Che ora gli dedica «RossinTesta», da oggi per la prima volta a Milano ospite del Menotti. Con lui sul palco Emanuele Dell’Aquila e i Virtuosi del Carso. A mischiare musica e monologhi. Satira e poesia.
Rossi, ma cosa bisogna aspettarsi sul palco del Menotti? «È un progetto in bilico fra un concerto e una performance teatrale. Il cuore rimangono le canzoni di Gianmaria per i miei spettacoli Arlecchino e Molière, oltre ad alcuni inediti che scrisse appositamente per me prima di salutarci. Mi sembrava doveroso. Ma non è teatro-canzone, è in qualche modo la storia di un incontro».
Come nacque la vostra amicizia? «In un dopo-teatro, che poi è sempre un altro momento del fare teatrale. E, come spesso succede, l’amicizia e la stima reciproca si confusero presto con il mestiere, la creatività. Iniziammo a fare insieme alcuni eventi bizzarri, ne ricordo uno in una stazione ferroviaria, mentre la gente saliva e scendeva dai treni».
Cosa vi accomunava? «Credo più che altro che fossimo complementari, anche se poi ogni tanto ci scambiavamo i ruoli e i cattivi umori. Sul palco è prima di tutto una festa, non voglio fare omaggi o commemorazioni. La cosa interessante è il fatto che emerge il Gianmaria più lieve, leggero, allegro. O quantomeno quello più inaspettato».
C’è spazio per i monologhi? «Sì, ci sono due o tre punti fissi, alcuni aneddoti. Ma vado soprattutto a braccio, il grosso si basa sull’improvvisazione e il dialogo con i musicisti».
Cosa la fa ridere della società attuale? «Diciamo che è davvero difficile fare la parodia di una parodia, imitare degli imitatori. Una missione quasi impossibile. Quindi cerco altre strade, sempre con quello spirito popolare su cui lavoro da tempo. Si parla della realtà che ci circonda, è quello l’argomento principale. Ma magari ci arrivo partendo da un classico. D’altronde non credo che i modi possano essere gli stessi di dieci anni fa, o almeno non per me. D’altronde il tempo passa, conosci meglio il mestiere, vai alla ricerca di altro».
Chi le piace fra i colleghi? «Raramente ne parlo, c’è sempre qualcuno che si offende. Mi piacciono alcuni grandi amici e anche molti ragazzi giovani con cui lavoro nei laboratori, ma di loro è prematuro parlare».
Un ricordo di Dario Fo. «Quando le cose sono così vicine credo che vadano vissute nel proprio intimo. Troppa gente ha già parlato e ricordato. Il dolore è privato, solo in un secondo momento ci sarà tempo per condividere ricordi, magari anche su un palco. Ora penso solo a Jacopo e alla sua famiglia». Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11; ore 20,30; fino al 22.