
Lo spettacolo sul grande cantautore stasera e domani al Teatro Oscar
E questa volta tocca al grande Lucio. Alle sue ultime 48 ore al Festival di Montreux. La morte improvvisa, l’1 marzo del 2012. A lui ha pensato Federico Buffa. Che dopo aver raccontato di calcio, di basket, di Olimpiadi, si concede una nuova passeggiata negli orizzonti musicali con "Lucio Dalla. Il futuro è tra mezz’ora", stasera e domani al Teatro Oscar. Vita e opere del cantautore bolognese. Sul palco insieme a Cesare Pomarici, supportati dalle musiche di Alessandro ed Emanuele Nidi.
Buffa, come mai Dalla?
"Per il mio amore artistico assoluto nei suoi confronti. Ma certo non sarebbe bastato per affrontare un materiale così radiottivo. Lo scarto è avvenuto grazie ai racconti di Luca Gnudi, il nostro tour manager, che all’epoca lo era di Dalla".
In quei giorni a Montreux?
"Esattamente. Luca ha sempre condiviso aneddoti su Lucio e una volta è entrato nei dettagli di quelle ultime 48 ore: cosa successe la sera prima, il festival, l’improvvisa morte a colazione, il tentativo di rianimarlo con un massaggio cardiaco. Un racconto che ha solo Luca come testimone diretto insieme a Marco Alemanno, compagno di Dalla. Ci sembrava speciale poterlo portare sul palco, insieme a qualche storia poco conosciuta".
Del tipo?
"Dalla ad esempio non ha lasciato testamento. Ne scrisse uno su un foglio di carta che poi stracciò, lanciandone i pezzi nel mare di Capri. Per questo l’eredità è ora in mano anche a parenti di cui sapeva ben poco. C’è poi il racconto della sera prima della morte, quando va a farsi una foto sotto la statua di Freddy Mercury. "Ci vediamo domani", dice mentre si allontana. Lui intendeva che sarebbe ripassato a farsi una foto migliore, non sfocata e al buio. Ma fa impressione".
Lucio era molto amato.
"Perché raccontava il Paese cantando le storie degli altri, non le sue".
Canzoni del cuore?
"Futura, Anna e Marco: le canticchio continuamente".
Ma come si trova in questa seconda vita teatrale?
"Ogni sera combatto con la sindrome dell’impostore, so bene che noi "televisivi" togliamo troppo spazi a chi ha lavorato duro in accademia. Ma la contemporaneità è anche questo e ne faccio parte. Quindi mi godo il momento".
Sempre innamorato del calcio sudamericano?
"È la mia grande passione, insieme alla Nba".
Anche l’Inter non ha risparmiato emozioni…
"L’ho vista! Solo il calcio riesce ad avere queste serate. Poi chiaro ci vuole il Barcellona, perché una qualsiasi squadra italiana a cinque minuti dalla fine dopo aver ribaltato la partita, avrebbe messo il pullman davanti alla porta e via, buttandosi per terra ad ogni occasione".
Le mancano le telecronache?
"Mi mancano le Finals della Nba, essere fisicamente lì".
Ma lei che squadra tifa?
"I Clippers".
Quindi è devoto al fallimento.
"Sì, decisamente, a parte il Milan s’intende. Quello però è un amore che mi ha imposto mia madre, altrimenti sono sicuro che avrei tifato per il Genoa o il Torino, grandi squadre ma la cui vera grandezza è un po’ lontana nel tempo".