
Alessandro Robecchi, scrittore, giornalista e autore televisivo
Milano, 7 marzo 2017 - Alessandro Robecchi non sbaglia un colpo, e riesce a essere coerente - con il suo stile, i suoi personaggi, la sua città - evitando con destrezza il rischio della ripetitività. È fedele anche al suo editore, quel Sellerio che ha già pubblicato le prime tre “avventure” di Carlo Monterossi, il detective per caso e produttore di Tv spazzatura per necessità che i suoi lettori conoscono così bene. Gli stessi che magari all’inizio conoscevano il nome di Robecchi come autore del mitico “Cuore” o firma del Manifesto. O ancora, più di recente, come coautore dei testi di Maurizio Crozza. Ma anche questa volta, anzi, più del solito, il romanzo è corale e la trama misteriosa un modo di andare a fondo nella Milano meno conosciuta, cercando di evitare i cliché da guida turistica. Intanto, “Torto marcio” è partito come un missile.
Che ne dice, Robecchi?
«Sono molto soddisfatto: il mio ultimo nato è nella top ten da sei settimane, da quando è uscito».
Pensa che il pubblico si sia affezionato a Carlo Monterossi?
«Credo di sì, anche se in questa ultima storia sta un po’ più in disparte: sugli “omicidi dei sassi” si sviluppano tre filoni di indagini parallele. Ci sono i poliziotti di Milano, quelli mandati da Roma, a causa dell’allarme sociale suscitato dai delitti ‘eccellenti’. E c’è Monterossi, anche questa volta riluttante a farsi coinvolgere».
Carlo non è il classico eroe... ma d’altra parte non vanno più di moda gli investigatori “tutti d’un pezzo”, giusto?
«Cerco di costruire personaggi realistici, con i loro limiti e i loro compromessi, come siamo tutti. Però forse Monterossi è quello che tira le fila ‘emotive’ del racconto, perché ha “il coraggio del dubbio”. È il più limpido e autocritico, anche disincantato, se si vuole. Ma mantiene un profondo senso etico, che lo fa anche soffrire, perché sente sulla pelle di essere sceso forse a troppi compromessi».
E veniamo al titolo, decisamente più pessimista dei precedenti: dal primo “Questa non è una canzone d’amore”, a “Dove sei stanotte”, poi “Di rabbia e di vento” si arriva a questo “Torto marcio”.
«Già, i miei noir non fanno sconti: amo questa città ma sono ben consapevole delle sue ombre, almeno quanto delle sue luci. Il meccanismo dell’indagine mi dà l’occasione di esplorarne ogni quartiere e ogni classe sociale, oggi più distanti di ieri. Differenze che colpiscono al primo sguardo: a contatto di gomito si incrociano per le strade il riccone e il senzatetto, con tutte le variabili tra questi due estremi. Sono antropologicamente diversi, e l’abilità di uno scrittore sta nel renderli tutti ‘veri’ e credibili. Profondamente umani».
Un modo di osservare che non diventa mai giudizio moralista...
«Chi racconta una storia non si pone al di sopra, ma dentro i suoi personaggi, si sforza di capirne le ragioni, di pensare e sentire come loro, anche se in certi casi non è facile. Un equilibrio calibrato tra empatia e distacco».
Lo scrittore, il giornalista e l’autore di testi comici si incontrano, insomma. Ma dove trova il tempo di sfornare un libro all’anno?
«Scrivere è la mia passione, e per le passioni il tempo si trova. Le altre mie professioni mi aiutano, soprattutto a sviluppare lo sguardo ironico (ma mai cinico) che credo sia la cifra dei miei romanzi».
Le piacerebbe che i suoi romanzi diventassero serie tv, secondo la moda attuale?
«Beh, se fossero come i Montalbano ne sarei felice: sono piccoli capolavori quelli... Ma ci penserò se e quando me lo proporranno».